Controcultura

Quel geniale "televisore" ai piedi della Madonna

Una scena da documentario nel piccolo dipinto del Maestro della Elevazione della Maddalena

Si conoscono poche opere dell'ignoto Maestro della Elevazione della Maddalena. Si sa che è ferrarese, ma probabilmente, come i suoi colleghi, e forse amici, Ortolano (proprio così: Giovanni Battista Benvenuti) e Garofalo (proprio così: Benvenuto Tisi), ferrarese di campagna, di paese; e certamente delicato e gentile sodale di un altro maestro che veniva da fuori, ma che si fece ferrarese d'elezione, a cavallo di due secoli, arrivando a Ferrara per dipingere la tribuna del Duomo nel 1499: Nicolò de Pisis. La scuola ferrarese fu grande, e aspra, e spericolata, nel Quattrocento, e venne addolcendosi, sul finire del secolo, ai venti leggeri di Pietro Perugino con i suoi paesaggi incantati, defluiti nei dipinti di Boccaccio Boccaccino e di Lorenzo Costa, ferraresi maturati poi a Cremona e a Bologna.

Ma quegli anni che vanno da fine Quattrocento al 1515, quando l'arrivo dell'Estasi di Santa Cecilia di Raffaello segnò la fine di un'epoca, con la morte di crepacuore (davanti a un'opera «bella da morire») di Francesco Francia, sono anni di poesia purissima, di candore pittorico, mai edulcorato. Il passaggio d'epoca è così raccontato da Giorgio Vasari: «Di gran danno fu sempre in ogni scienza il presumere di sé, e non pensare che l'altrui fatiche possino avanzar di gran lunga le sue; e per natura e per arte avere da 'l cielo non solamente le doti eccellenti e rare, ma ancora prerogative di grazia, di agilità e di destrezza nell'operare molto maggiori che altri non ha. Perché alle volte s'incontra e vedesi l'opere di tale, che mai non si sarebbe creduto, essere sì belle e sì bene condotte, che lo ingannato dalla folle credenza sua, ne rimane tinto di gran vergogna e tutto confuso. E quanti si sono trovati che nel vedere l'opere d'altri, per il dolore del rimanere a dietro, hanno fatto la mala fine? Come è opinione di molti che intervenisse al Francia Bolognese, pittore ne' tempi suoi tenuto tanto famoso, che e' non pensò che altri non solo lo pareggiasse, ma si acostasse a gran pezzo a la gloria sua. Ma vedendo poi l'opere di Raffaello da Urbino, sgannatosi finalmente di quello errore, ne abbandonò e l'arte e la vita».

Prima di questo momento fatale anche Francesco Francia partecipa di quel mondo sospeso che illustrano i pittori sopra ricordarti. Nicolò de Pisis lo scopre nella sua Pala ferrarese per la chiesa di San Paolo con San Sebastiano fra i santi Giuseppe e Giobbe, capolavoro protoclassico, ignaro di Raffaello, la cui «quieta disposizione tonale» mostra una interpretazione padana e una intelligenza luminosa dei modi di Bellini e di Cima da Conegliano. Ma vi sentiamo la polvere delle strade di Ferrara, di quelle «vie piane,/ grandi come fiumane,/ che conducono all'infinito chi va solo/ col suo pensiero ardente,/ e quel lor silenzio ove stanno in ascolto/ tutte le porte» (Gabriele d'Annunzio, Le città del silenzio).

È quella atmosfera, fatta quintessenza, che troviamo nel misterioso Maestro della Elevazione della Maddalena, nell'opera da cui prende il nome, ora nella Pinacoteca nazionale di Ferrara, proveniente dalla distrutta chiesa di Sant'Andrea, dove vi erano anche le metafisiche pitture di Piero della Francesca, maestro di sospensioni e di elevazioni, cui certo si ispirò, rapito, il maestro dell'ignoto maestro: Ercole de' Roberti.

Sale in cielo, la Santa, lasciando in uno spazio desolato, tra lontananze fluviali e lagunari, uno sparuto testimone del suo folle volo. L'aria è rarefatta, come dopo un'alluvione, in un'alba luminosa appena liberata dalla nebbia. C'è lo stupore delle apparizioni, in quel paesaggio, un'atmosfera sospesa come nelle visioni di Michelangelo Antonioni (ferrarese) in Gente del Po o in Cronaca di un amore. Il soggetto religioso è prosciugato dal paesaggio dove sosta un circospetto coniglio e planano due uccelli di passo: il pittore dipinge il paesaggio dell'assenza, ciò che resta dopo l'elevazione.

Ed è uno stato d'animo che ritorna identico, e da fermare il ritmo del cuore, in una operina che è transitata in un museo americano, a Richmond in Virginia, ed è riapparsa ora in un'asta Sotheby's a New York: una Madonna in trono fra San Nicola da Tolentino e San Sebastiano. Una emozione pura in 37,5x29,5 cm di pittura su una sparuta tavoletta. La madonnina, più piccola e più esile dei santi che l'affiancano, sta su un trono ispirato a quello della Pala di Giorgione a Castelfranco, strana macchina sostenuta da un elevatore che si apre per ritagliare una veduta di paesaggio, diafano come in un video ispirato ai due sotto il trono, nella Pala di Ercole de Roberti per la chiesa di Santa Maria in porto a Ravenna: qui si trasmettono documentari sulla pianura padana, sulle nebbie sul Po. Ineffabili, ingenue dolcezze in golena.

Tutto è estasi e stasi. I due santi non potrebbero essere più indifferenti, più distratti da una improbabile e candida madonnina. Hanno ben altri pensieri. San Nicola deve apparecchiare i suoi miracoli, preparare le sue prediche: «Nolite diligere mundum, nec ea quae sunt in mundo, quia mundus transit et concupiscentia ejus» («Non amate il mondo, né le cose che sono del mondo, perché il mondo passa e passa la sua concupiscenza»). È considerato un santo mariano poiché ebbe la visione degli angeli che trasportavano a Loreto la Santa Casa di Nazareth, il 10 dicembre 1294. Sospesa è anche la madonnina alle sue spalle. Ma ben altro fu quello che aveva visto.

San Sebastiano non disturbatelo: femmineo, poco più che adolescente, è distratto da qualcuno che passa mentre lui è in ceppi alla colonna, e già infastidito da inutili frecce, come aghi. Con la coda dell'occhio segue l'amico, con lo spirito di Sandro Penna che scrive: «La veneta piazzetta,/ antica e mesta, accoglie/ odor di mare. E voli/ di colombi. Ma resta/ nella memoria - e incanta/ di sé la luce - il volo/ del giovane ciclista/ vòlto all'amico: un soffio/ melodico: «Vai solo?». Il sentimento che esprime questo piccolo e purissimo poeta ferrarese è talmente intenso che evoca continuamente un vuoto colmo di dolcezza, che Penna ha modernamente espresso: «Era la mia città, la città vuota/ all'alba, piena di un mio desiderio./ Ma il mio canto d'amore, il mio più vero/ era per gli altri una canzone ignota». Nello sguardo del San Sebastiano leggiamo questo pensiero, come un segreto di chi vive nella città del silenzio, un dialogo muto, l'attesa di un ritorno: «Amico, sei lontano. E la tua vita/ ha intorno a sé colori ch'io non vedo./ Ha la mia vita intorno a sé colori/ che io non vedo».

Ecco, il Maestro della Elevazione della Maddalena quel sentimento l'ha dipinto.

E son colori che non si vedono ma si pensano.

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