Franco Fayenz
da Modena
Una full immersion di quattro giorni consecutivi con Ornette Coleman come personaggio, sassofonista, compositore, direttore, e con la musica che continua a creare con vena inesauribile, ha fatto bene a molti. Almeno così si spera. Ha fatto bene soprattutto a chi conosca poco luno e laltra: cioè ai giovani che chiedono giustamente di essere informati e ad alcuni «esperti» che al di là di malcelate ostentazioni, con Coleman hanno scarsa familiarità.
Il maestro, invitato dai «Concerti contemporanei di Angelica», si è trattenuto due giorni a Bologna, uno a Reggio Emilia - dove dieci anni fa era stata organizzata una manifestazione analoga oggi stranamente dimenticata - e uno a Modena. A Bologna ha accettato di incontrare pubblico e critici che poi hanno assistito a Made in America, il bel documentario di Shirley Clarke sulla vita e larte di Coleman prodotto nel 1987. Il giorno seguente ha tenuto concerto al Teatro Manzoni per lesecuzione di Skies of America (1970), unora di musica per quartetto e orchestra con la collaborazione dellOrchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Aldo Sisillo: ottima performance, specie se si considera la materia insolita per la formazione emiliana. Nei due giorni successivi il compositore si è trasferito al Teatro Valli di Reggio Emilia e al Comunale di Modena dove ha suonato con il solo quartetto.
Limportante dialogo preliminare di Bologna con Coleman dovrebbe aver chiarito qualche punto fondamentale. Il musicista texano è un genio autentico dei suoni del Novecento, uno dei pochi. E del genio ha certi tratti che lo rendono diverso dalle persone comuni. Se gli chiedi notizie sulla sua musica, sta al tema per trenta secondi e poi parla daltro, spesso delle sue idee sulla vita e sulla morte. Chi lo conosca bene interroga piuttosto il figlio Denardo, che senza dubbio non è un grande batterista ma risponde a tono e con chiarezza.
Tutti pregevoli i concerti, non è il caso di indicare preferenze. A Bologna si è assistito allinsolito spettacolo di Coleman che, soddisfattissimo, alla fine ha ringraziato uno per uno il direttore e i professori dellorchestra con vigorose strette di mano. Non si è capito, invece, perché la promozione della full immersion abbia enfatizzato improbabili «prime assolute». I due concerti in quartetto, in particolare, sono stati piuttosto simili, con brani vecchi e nuovi ed altri ripetuti (compresi i bis: il celebre Lonely Woman si è ascoltato tutte e tre le sere). Impeccabili Coleman e i due contrabbassisti, Tony Falanga sottratto alla musica classica e l«elettrico» Al McDowell, fantasioso e caratterizzante.
Qui a Modena cè stata una conclusione inattesa. Saputo che fra gli spettatori cera Patti Smith, Coleman lha invitata sul palcoscenico a cantare un paio di brani, limmancabile Lonely Woman e il blues Turnaround. Gli ammiratori dellex profeta del jazz informale ora convertito a una nuova consonanza (talvolta con toni quasi di flauto) hanno gradito fino a un certo punto: mai avevano ascoltato il loro idolo impegnato in una sorta di jam session.
Il jazz contemporaneo, comunque, sembra ben vivo.
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