Il parlar male di Milano è un esercizio in gran voga. Fa pena, si dice e si scrive, questa metropoli in declino che non sa reggere il confronto con Barcellona, che perde occasioni culturali e di spettacolo in favore di Roma, che sembra preferire la piccola politica ai progetti ambiziosi. Mi càpita, non di rado, dassociarmi alla congrega dei mugugnatori. Ma leggendo Il clan dei milanesi mi sono riconciliato con la mia città (lasciate che la definisca mia anche se non ci sono nato, ma mi ci hanno portato quando avevo un anno).
Non è che, dimprovviso, le pagine di Luigi Mascheroni abbiano riscattato Milano dalle sue colpe e dai suoi difetti. Ma questa carrellata di protagonisti della vita milanese - le femministe si arrabbieranno perché nellelenco non cè nemmeno una donna - mi ha ricordato quanto talento, quanta energia e anche quanta fantasia creativa vi sia stata nella crescita dellamata-odiata capitale del nord.
Luciano Bianciardi, che ci è campato, la bollava come «operaia, svizzera, lavorativa», attribuendo a queste qualifiche una connotazione irrimediabilmente negativa: e aggiungeva, per sopramercato, che «i milanesi sono coglioni come poca gente al mondo». Un altro toscano, Indro Montanelli, la pensava in tuttaltro modo. I letterati, si sa, sono imprevedibili nei loro furori e nei loro amori. La verità è che Milano - lo si capisce sùbito da questi trenta rapidi e acuti profili - non corrisponde al cliché grigio che tanti per tanti anni le hanno appiccicato («Ma poi vengono a Milano», cantava il maestro DAnzi). Milano è lavoro, magari anche accanimento nel lavoro, ma è anche intellettualità di prim'ordine, con meno terrazze, bisbigli, «Carissimo!» e baci di quanto accada nellUrbe, ma con molta qualità in più.
Mascheroni mi ha riportato alla memoria avvenimenti remoti: scrissi per il Corriere della Sera la cronaca della morte a Monza, durante un banale giro di prova, del leggendario pilota Alberto Ascari, così come scrissi la cronaca dei suoi imponenti funerali (avevo accanto a me Oriana Fallaci, inviata dall'Europeo). Ho ritrovati in questo libro il Pepin Meazza, il prodigioso balilla, mito quando ero ragazzo di un calcio che m'illudo fosse molto più pulito dell'attuale, e che senza dubbio era più povero, più italiano, e dunque meno grottescamente mercenario. C'è Bettino Craxi tra i nomi, e la figlia ne tesse un elogio appassionato. Su un particolare sono d'accordo con lei. Craxi, cui fu mossa l'accusa d'essere tracotante e arrogante con la sua «Milano da bere», aveva un curioso fondo di timidezza, e la sua bruschezza da orso era anche effetto della timidezza.
Trovano posto nella rassegna - a conferma di quanto la cultura e l'industria culturale abbiano contato nelle vicende milanesi - quattro importanti editori: Bompiani, Hoepli, Mondadori, Rusconi. Indirettamente trova posto anche Angelo Rizzoli, l'ex martinitt dalle straordinarie intuizioni sia per l'editoria sia per il cinema. Trova posto indirettamente Rizzoli, accennavo, perché Edilio Rusconi rivelò le sue capacità con la direzione di Oggi, arricchendo Rizzoli e arricchendo se stesso: tanto da potersi poi mettere in proprio lanciando il settimanale Gente, fortunata replica della formula di Oggi. Settimanali proprio per famiglie,fondati su un'idea semplice e difficilissima insieme:dovevano toccare il cuore. Ho avuto un'intensa frequentazione con l'ultimo e il più giovane in questa schiera di maghi dell'editoria, appunto Rusconi. Il piccolo formidabile Edilio sapeva - da eccellente giornalista quale era stato - come toccare le corde dell'emozione popolare, ma covava la tentazione di poter fare qualcosa di molto diverso. Un giorno - parlo del periodo che seguì la fine della sfortunata Voce e il mio passaggio al gruppo Monti (Il resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno) senza che l'amicizia con Indro ne fosse turbata - Edilio Rusconi invitò Montanelli e me a una chiacchierata nel suo appartamento, all'angolo tra corso Venezia e i Bastioni, e ci spiegò d'avere un progetto: quello di un settimanale élitario, pungente, indipendente, slegato dalle ingerenze ed esigenze della grande diffusione: un qualcosa che ricordasse il Borghese longanesiano dei primi tempi e, in chiave attuale, il Foglio. Montanelli fu incantato dall'idea e anch'io lo fui. Poi non se ne fece niente, ma serbo gratitudine a Rusconi per quel sogno irrealizzato, e per avermi sollecitato a condividerlo.
Sì, Mascheroni ha fatto un ottimo lavoro in favore d'una città che di lavoro s'intende, eccome.
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