
A Palazzo Cipolla di via del Corso a Roma arriva tutto l'irresistibile genio di Salvador Dalí. La mostra Dalí. Rivoluzione e Tradizione, visitabile fino al primo febbraio, presenta oltre una sessantina di opere (tutte certificate: come narrano anche le cronache recenti, con la vicenda dei pezzi sequestrati dai carabinieri mentre erano in mostra a Palazzo Tarasconi di Parma, il mercato che ruota attorno a Dalí è infestato di falsi). Qui invece dipinti, disegni, documenti e materiali audiovisivi provengono da alcuni dei musei più importanti al mondo, tra cui un nucleo straordinario di capolavori della Fundació Gala-Salvador Dalí, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Museu Picasso di Barcellona, le Gallerie degli Uffizi di Firenze. Il progetto espositivo, promosso dalla Fondazione Roma in collaborazione con la Fundació Gala-Salvador Dalí, con il supporto organizzativo di MondoMostre e il patrocinio dell'Ambasciata di Spagna in Italia, si avvale della direzione scientifica di Montse Aguer, direttrice dei Musei Dalí, e della curatela di Carme Ruiz González e Lucia Moni e indaga la dialettica mai risolta tra rivoluzione e tradizione nell'arte di Salvador Dalí (1904-1989).
Un simbolo di questa dicotomia? Basterebbe soffermarsi davanti a uno dei suoi quadri giovanili, esposti in mostra in apertura, ouverture perfetta: il titolo, Autoritratto con il collo di Raffaello, dice tutto. In Dalí ci sono il classico, la Storia e l'Io (rigorosamente maiuscolo). Il percorso espositivo a Palazzo Cipolla (che ora è parte del Museo del Corso Polo Museale) inizia con una sezione che si concentra sulla parte gagliarda e rivoluzionaria della sua arte, quando Dalí si getta con entusiasmo nelle avanguardie storiche Cubismo, Dadaismo, Surrealismo assimilando e rielaborando a modo suo, con quello stile inconfondibile, raffinato e giocoso, i linguaggi più radicali del suo tempo. Centrale in questa fase è la figura di Pablo Picasso che Dalí incontra a Parigi nel 1926: quel che comincia come una sorta di pellegrinaggio devozionale, diventa con il tempo una ricerca continua di confronto (approvazione?).
Il pittore di Malaga è al tempo stesso modello cui ispirarsi e nemico da superare. In questa fase, la produzione di Dalí si fa rarefatta e sognante: sulla tela compaiono creature liquide, sospese nel tempo, tra sogno e coscienza (come le Figure distese sulla sabbia ora esposte a Roma).
Poi, il paradosso. Mentre la fama surrealista di Salvador Dalí cresce, complice anche il suo physique du rôle che lo rende perfetto personaggio da copertina e materiale da gossip, ecco che nella sua ricerca artistica, nel chiuso del suo atelier, tra gli anni Quaranta e Cinquanta Dalí rivolge il suo sguardo ai classici della storia dell'arte. Studia con rigore quelli che considera i più grandi maestri europei: Velázquez, Vermeer e Raffaello.
La mostra ben lo illustra nella seconda sezione, anche grazie ai materiali documentari esposti, quali le fotografie di Francesc Català Roca e di Juan Gyenes che ritraggono Dalí immerso nello studio dei tre campioni dell'arte. Di Velázquez indaga la capacità di esplorare lo spazio e di dar forma alla materica pittorica: Las Meninas diventano un'ossessione, quasi un incubo visivo. Di Vermeer ammira la calma e la precisione della mano: il genio fiammingo accresce in Dalí la passione per la scienza e per il rigore matematico delle composizioni (lo vediamo ne La merlettaia).
Infine, e a Roma questo confronto ha ancora più senso, l'incontro con Raffaello.
L'artista catalano ragiona sulla perfezione e sull'armonia, fondendo in modo originale il Rinascimento con la fisica contemporanea: La scuola di Atene / El incendio del Borgo, esposta a Palazzo Cipolla, è emblematica della complessità di Salvador Dalí, creatura unica e irripetibile nella storia dell'arte, un mix di genio e disciplina, provocazione e rigore.