Una traccia microscopica di Dna femminile sotto l’unghia dell’anulare della mano sinistra. Particolare ininfluente secondo i pm che hanno chiesto di spedire al «gabbio» il caporalmaggiore Salvatore Parolisi. La prova che manda all’aria il teorema dell’accusa, che dimostra come non sia lui l’assassino di Melania, la tesi contraria dei suoi avvocati.
Si gioca anche, e forse soprattutto qua la partita tra innocentisti e colpevolisti. Tra i carabinieri e la procura di Ascoli convinti di aver individuato il colpevole nel marito della vittima e chi invece, tra amici, parenti e amanti vuole credere nell’innocenza del soldato.
Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, i suoi due legali del militare,combattono per lui. «Si chiede l’arresto di un uomo, ma gli accertamenti - sostengono - lasciano intendere che l’omicidio sia stato commesso da una donna». «Nelle prime righe delle quasi cinque pagine di quesiti rivolti dai pm al medico legale -puntualizzano - si chiedeva di verificare se vi fossero altri Dna oltre a quelli di Salvatore e Melania: ebbene, la risposta a questa domanda è quasi mascherata in due righe nelle conclusioni del perito». «Occorre andare a spulciare oltre 80 pagine di relazione - proseguono i difensori - per scoprire che Melania ha tentato di difendersi con le mani durante l’aggressione: sotto l’unghia di una mano è stato repertato il Dna di una donna (sconosciuta, ndr); il Dna di Salvatore è stato trovato solo nella bocca di Melania come conseguenza di un bacio». Contatto, si legge nel referto, avvenuto poco prima che la donna fosse assassinata.
Insomma, abbastanza per lasciare aperto questo giallo dai contorni sempre più sfuocati. Mille le congetture, le possibili risposte. Da una parte e dall’altra, quella dell’accusa, quella della difesa.
Materia per psicologi, criminologi, medici, tuttologi ed «esperti» vari. A complicare la questione anche quelle ferite post mortem sul corpo della vittima. Sarebbero state inferte con un punteruolo, scrive l’anatomopatologo Adriano Tagliabriacci. Ha eseguito due autopsie per esserne certo. Per tratteggiare una dinamica del delitto. Melania colpita in quel bosco di Ripe di Civitella con un coltello, verosimilmente tra le 14.30 e le 15-15.30 (lo direbbero i resti del pranzo trovati nell’intestino) e poi di nuovo violata forse nella notte con un punteruolo. Una siringa piantata nel seno e il tappo spinto nell’organo genitale.
Ecco la prova del maniaco, sostiene qualcuno. Ecco la prova di un tentativo di depistaggio, ribattono altri.
Ci si scontra ora sui particolari difficili da raccontare, ma di certo fondamentali in un futuro processo. Sempre stando alla relazione fornita dal professor Tagliabracci, Melania prima che il suo assassino la aggredisse alle spalle si era abbassata volontariamente i pantaloni, i collant e gli slip, e stava probabilmente facendo pipì. «In caso contrario, gli indumenti risulterebbero stracciati».
Eccoci poi nel campo delle ipotesi investigative che ci regalano le risultanze scientifiche. La vittima non sarebbe stata minacciata- ipotizza l’anatomopatologo- «perché non aveva tracce di pianto (il trucco era intatto). Il gocciolamento del sangue indica poi che la donna è stata aggredita quando aveva i pantaloni abbassati». Mentre si sentiva tranquilla».
Crollerebbe dunque l’ipotesi della lite furiosa col marito degenerata nell’omicidio.
Ultimi, macabri, terribili particolari. L’aggressione si sarebbe svolta in più fasi.
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