Giorgio Barbarisi, il Tricolore al vento della Liberazione

Ragazze che baciano soldati sorridenti, fiori sui carri armati: immagini della Liberazione di Roma del 4 giugno ’44 stampate nella memoria collettiva. Non così è avvenuto per la figura di Giorgio Barbarisi, sottotenente della Guardia di Finanza di 22 anni e partigiano, che risparmiò alla Capitale il più umiliante degli oltraggi, per essere poi ucciso poche ore dopo da un famoso comunista.
In quei giorni fra i romani serpeggiava il dubbio che la Liberazione fosse un’altra occupazione. Ma la mattina del 5 giugno Barbarisi era felice: il pomeriggio precedente aveva affrontato con cortese fermezza il comandante alleato per ottenere che, insieme ai vessilli stranieri, sul Campidoglio venisse issato il Tricolore. Il colonnello inglese Bettersbey, ammirato, gli propose di diventare suo aiutante di campo: interrogato dalla Milizia, aveva taciuto dei suoi rapporti col comunista Andrea Arena e aveva nascosto militari sbandati e fuggiaschi. Era il simbolo di una Resistenza priva di qualsiasi miasma politico.
Intorno alle 14 del 5, Barbarisi percorreva via delle Tre Cannelle, a due passi dalla sede del quotidiano del Pci. Notò affisso un manifesto che pare recitasse «W L’Unità!». Assolvendo al suo dovere di ufficiale allungò il braccio per toglierlo. Non fece in tempo a strapparlo che cadde sul selciato, l’aorta recisa da un proiettile. A sparare era stato Rosario Bentivegna, il comunista che mesi prima aveva messo la bomba in via Rasella, l’attentato che provocò la rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine (335 persone fucilate). Carla Capponi, sua amante, aveva scambiato la divisa grigioverde del finanziere per quella fascista. Il processo, sottratto alla giurisdizione italiana, si aprì il 14 luglio. Il pubblico ministero sostenne la colpevolezza di Bentivegna e numerosi testimoni dissero d’aver visto Barbarisi disarmato o esclusero che avesse estratto una pistola. La sentenza parlò di «doloroso incidente» e diede a Bentivegna 18 mesi per eccesso di legittima difesa, ma l'imputato fu assolto in appello. Di Barbarisi resta la Bronze Star Medal conferitagli alla memoria dal generale Clark, una laurea honoris causa alla memoria e il suo nome sul frontespizio della caserma della GdF di Bologna.

Ma ciò che resta di più è la vergogna del silenzio sceso sul suo storico gesto e sul suo martirio: un combattente della libertà che invece di farsi ammazzare dai tedeschi si era lasciato ammazzare per un tragico errore da un partigiano comunista.

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