Giornalisti cattivisti Perfidie in 100 battute (spazi inclusi)

Aurea brevitas. Punture, stoccate, spilli, corsivi e lampi di intelletto. Ovvero: le battute fulminanti con le quali le penne più brillanti del giornalismo italico inchiodano sulla carta quotidiana vizi&ignoranze dell’intellighentia, della politica, del salottismo, del divismo, del televisismo. Del giornalismo.
Una frase, un rigo appena per stroncare con coltissima perfidia le menti più stupide della nostra generazione. È il lato abbietto e crudele dell’aforisma, la variante pettegola della massima letteraria, la faccia sarcastica dell’epifonema.
Una cattiveria detta in poche parole. Epperò detta in modo da stupire più di una menzogna.
L’arte dell’insulto, concentrato in 100 battute spazi inclusi (al massimo), è difficilissima. Qualcosa di bellissimo, maligno e per pochi. Come la cattiveria. Che è un dono, al pari della scrittura. E dell’ironia.
Tutti coloro che impugnano una penna vorrebbero essere Cyrano, così come tutti i giornalisti vorrebbero essere Francesco Merlo (per dire). Ma gli spadaccini di Sua Maestà «la Battuta» sono ben pochi. Occorre genio: fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione. Ma anche coraggio e concinnitas. Infilare con una stoccata l’avversario ti può capitare una volta, due toh. Infilzarlo tutte le mattine è un’altra cosa. Come ben sapeva il vecchio Indro Montanelli, nuotare Controcorrente - ogni giorno, tutti i giorni - è una fatica pazzesca.
In Italia sono in tanti a tirare di spada. Ma i moschettieri, come insegnano la storia e la letteratura, sono giusto tre. Va be’, quattro o cinque.
Michele Serra, quando fa l’umorista e non il moralista, è uno di quelli. Anche se è dell’altra sponda, rimane per noi un maestro assoluto. Intelligente, raffinato, decisamente colto, purtroppo di sinistra, è uno di quelli che ti fa rimpiangere di stare a destra. Dove l’ironia, come è noto, è merce rara.
Aldo Grasso, che come critico televisivo magari lascia a desiderare, come battutista è straordinario. Stroncare due programmi con una sola frase - «Michele Santoro veste in maniera più sobria ed elegante di Paola Perego» - ha del sublime. Del resto, «in televisione si consegue il successo dando il peggio di sé». Anche fuori, a volte.
E financo a Lina Sotis, il cui bon ton è peraltro inversamente proporzionale alla simpatia, va riconosciuta la verve della fiorettista di rango. Solo la decana delle nostre giornaliste di costume che non ha mai imparato a vestirsi poteva notare - a proposito del noto girocollo portato sotto la giacca - che Berlusconi «è l’unico premier vestito da guardia del corpo con i bodyguard vestiti da capo di governo». Plissè.
Quanto a Riccardo «Jena Plissken» Barenghi non c’è nulla da aggiungere al suo «Veltroni? Bisognerà dargli atto di aver conseguito una vittoria assolutamente straordinaria: ha distrutto la sinistra» piuttosto che «Rutelli ha dichiarato che quando sta all’estero non parla di politica interna. Dovrebbe viaggiare più spesso». Un gigante, nonostante la statura. Da quando non c’è più lui, il manifesto non è più lo stesso. La Stampa sì però. A Torino sono davvero fortunati: hanno anche Massimo Gramellini. Il suo «Buongiorno», certe mattine, è l’unica cosa per cui vale la pena alzarsi.
I corsivisti sono a volte caustici, a volte sarcastici, a volte pesanti. Altre semplicemente inutili. Beppe Severgnini - ad esempio - per essere bravo, è bravo. Bravino, va’. Riccardo Chiaberge, invece, vespa teresa sul fiore confindustriale, sarà anche spiritoso. Ma è l’umorismo yiddish che ci lascia freddi. Non si capisce. Mentre Maurizio Milani si capisce. Ma non fa ridere.
Strano, perché il Foglio in questo campo ha dato e continua a dare il meglio di sé. A parte «Alta Società», che più che una rubrica è una prebenda, tutti rimpiangiamo lo strepitoso carrarmatino di Pietrangelo Buttafuoco e l’irripetibile «feltrino» dell’omonimo Mattia (buon padre non mente...). Oggi, in casa Ferrara, un battutista da antologia è l’epistolografo Maurizio Crippa: «L’Opama ostile», «Assistenti di volo prepararsi al tracollo», «Colapicco»... Per lui, come per i profeti e i biblici, ogni parola è una sentenza (scrive solo frasi di una riga, massimo due, ma perché è pigro): le sue letterine al direttore sono fulminanti. Comunque, i “foglianti” - e non citiamo Camillo Langone, perché scrivendo anche sul Giornale è una cosa che non sta bene - non deludono mai.


Per il resto, tolti due inguaribili narcisi della scrittura, Vittorio Sgarbi e Massimiliano Parente, i quali peraltro reciprocamente si stimano moltissimo, di grandi «corsari della parola» non ne rimangono molti.
Ah, sì. Ci sarebbe pure Pierluigi Diaco. Il fatto, però, è che non è già più «una giovane promessa», e purtroppo non è ancora «un venerato maestro».

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