Controcultura

Giovanna, «la Pulzella» bruciata dal suo successo

Una donna eccezionale e fuori dal suo tempo che è diventa leggenda troppo in fretta per vivere

Matteo Sacchi

Iconica, santa guerriera, martire di un processo iniquo. Una donna, armata come un cavaliere e vestita da uomo, capace di sorpassare il proprio tempo al punto da piacere alle femministe, o di finire in una canzone del rapper Caparezza, quanto di essere un punto di riferimento per cattolici tradizionalisti. Ma anche all'opposto la vaccaia (come la chiamavano gli inglesi), l'eretica da processare, il nemico che ascolta le voci del demonio all'albero delle streghe e deve essere mandata al rogo. È difficile capire chi fosse davvero Giovanna d'Arco. Giovanna che per altro non usò mai quel patronimico e si riferiva a se stessa solamente come Giovanna «la pulzella». Giovanna, la cui «voce» si sente quasi soltanto negli atti ostili del processo del 1431, e che quindi gioca sulla difensiva, si racconta a spizzichi e bocconi sapendo che qualsiasi parola può essere usata contro di lei.

Chi fosse la vera Giovanna - una vita brevissima di cui probabilmente è un falso anche la data di inizio, 6 gennaio 1412, ma è una certezza la tragica data di fine, 30 maggio 1431 - forse non lo sapremo mai. Però possiamo indagare com'è nato il suo mito, risalire alle radici della nascita di un simbolo nazionale. Lo ha fatto Colette Beaune, docente emerita dell'università Paris X-Nanterre che della Pulzella d'Orleans è la massima esperta. Arriva ora tradotto in italiano il suo Giovanna d'Arco. Una biografia (il Saggiatore, pagg. 474, euro 35) che trasforma l'epopea della salvatrice di Carlo VII, il quale senza di lei sarebbe rimasto il re senza corona, in una finestra su tutta la storia della Francia del '400. Risultato ottenuto mettendo davanti al lettore le molte Giovanna che saranno fuse assieme per creare un mito eterno.

All'inizio ovviamente c'è una Giovanna prima di Giovanna. Non si può essere trasformati in una profetessa salvifica se prima non è stato creato un mito della salvatrice. I francesi, travagliati dalla Guerra dei Cent'anni (1337-1453) e messi a mal partito dagli inglesi (basti ricordare la trionfale vittoria di Enrico V ad Azincourt nel 1415) iniziarono a cercare una speranza e se l'immaginarono con il voto di donna, a partire da una profezia contenuta nell'Historia Regum Britannie: «Una Vergine venuta dalla foresta di querce cavalcherà contro gli arcieri e occulterà il fiore della sua verginità». E quando Giovanna iniziò la sua corsa verso la corte del Delfino prima e verso la battaglia poi, sembrò a molti che la promessa di Goffredo (scritta in tutt'altro contesto) fosse diventata carne, ferro e rivalsa. Se nella Bibbia spesso sono i pastori a trasformarsi in salvatori, come re Davide, poteva essere Giovanna qualcosa di diverso da una Pastorella? Nelle carte del processo la Puella disse di avere badato alle bestie come chiunque altro nel villaggio di Domrémy. E però come poteva non essere lei una pastorella visto che, come Davide, al suo irrompere nel campo di battaglia gli inglesi venivano scacciati come lupi di fronte al vincastro divino? Esattamente come per gli inglesi immediatamente diventa una vaccara, cioè colei che cura bestie ben più impure delle innocenti pecorelle. Del resto per i francesi ha sentito le voci vicino a un albero detto «delle dame», che per gli ecclesiastici del processo imbastito sotto mano inglese è invece «l'albero delle fate». Roba da streghe, insomma. D'altronde, se la Pulzella vi fosse piombata contro con l'avanguardia della cavalleria pesante francese durante la battaglia di Patay, se l'aveste vista cavarsi dal corpo una freccia e continuare a combattere sotto le mura d'Orleans, se l'aveste colpita alla testa con un grande masso e l'aveste vista rialzarsi e guidare la strage dei vostri compagni, non la considerereste anche voi una strega?

Una strega o l'angelo sterminatore mandato dal Signore sono solo due angolazioni della stessa donna in boccio. Una donna che nessuno poteva vedere, perché diventata un mito in soli due anni, passati tra esami della propria verginità intatta, spade ritrovate nelle chiese e macelleria spietata sui campi di battaglia.

Così, sullo sfondo della storia resta solo l'armatura bianca che il re le aveva fatto fabbricare a Tour al prezzo di cento lire, e il possente corsiero nero che la portava in battaglia. La ragazza appena monta in sella, snello fiore d'acciaio, giostra con il duca d'Alençon «con tale tranquillità che sembrava non avesse fatto altro in vita sua». Sarà vero? Nessuno può più misurare il peso del metallo sulle spalle contadine di una giovane non troppo alta, non troppo bella, ma animata da una volontà che nessuno sapeva piegare o spiegare. Ma così la raccontavano i cronisti già nel 1429. Non lasciando spazio ad altro che al miracolo o al sortilegio. Nel processo imbastito dagli inglesi che la comprarono vilmente da Giovanni di Lussemburgo non furono rispettate le più elementari regole che proteggevano l'imputato. Volevano il fuoco, volevano un rogo a Rouen in cui la prigioniera bruciasse da viva, non soffocata dal fumo come si poteva ottenere facilmente. E quel rogo si dimostrò il modo migliore per perdere i propri territori francesi e creare l'idea stessa di una Francia senza dominatori stranieri.

Così il processo di riabilitazione del 1455 voluto da Carlo VII, ormai diventato il Vittorioso, ebbe un esito diverso, quasi sicuramente più giusto. Giovanna, eretica sicuramente non era. Si passò dall'eresia al culto del martirio. Era nata un'altra Giovanna, quella postuma. Quella vera era ormai diventata cenere urlando tra le fiamme «Gesù!». Il Bastardo d'Orléans che l'aveva conosciuta davvero da vicino le fece erigere una croce che ancora adesso resta nella foresta di Saint Germain. Possiamo supporre che alla Pulzella sarebbe piaciuta più di certe statue luccicanti.

Non era una teologa, ma mai e poi mai avrebbe voluto essere trasformata nel vitello d'oro di una nazione o in un enigma storiografico.

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