Andrea Tornielli
«Mi scusi, ma come fa lei a dire tutte queste cose, se Gesù Cristo in realtà non è mai esistito?». Conegliano, profondo Veneto, la sera del 4 maggio. Auditorium quasi al completo con trecento persone interessate a sapere che cosa ci sia di vero nel romanzo di Dan Brown: uno dei tanti incontri ai quali sto partecipando nellinaspettato e intensissimo tour in giro per lItalia a presentare il mio Processo al Codice da Vinci. Tanta gente, incuriosita dal fenomeno, interessata a discutere dei vangeli. A quella domanda non è difficile rispondere, dato che ormai non ci sono studiosi seri in grado di affermare che la figura di Cristo sia uninvenzione: molteplici, anche se scarne, sono le attestazioni che lo riguardano estranee ai vangeli e alla letteratura cristiana, come il famoso passo dello storico Tacito (Annali, 44) dove si legge dei cristiani e di «colui da cui essi prendevano il nome, Cristo, che era stato messo a morte sotto limpero di Tiberio».
Da Imola a Riccione, da Tortona a Bologna, da Treviso a Milano: altre sale, altro pubblico, molti giovani. Nessuna voglia di boicottaggio o di crociata, ma tanta sete di spazi di confronto, nei quali si possano mettere a tema la storicità dei vangeli, la differenza tra i testi canonici e gli apocrifi gnostici, lelemento femminile nel cristianesimo. Il Codice da Vinci, in fondo, attrae perché quella di Gesù è la figura più importante della storia dellumanità: ha affascinato, unito, diviso da duemila anni. «Ma chi cè dietro Dan Brown?», è una delle domande più frequenti che mi sento rivolgere. La risposta è sempre la stessa: trattandosi di un libro e di un film che presentano inesistenti complotti, non voglio fare il complottista. Qualcuno commenta: «Chi vuole che ci sia dietro unoperazione come questa? Cè il diavolo...». Tanti, tantissimi vivono ciò che accade come un attacco alla Chiesa, e ancor di più un attacco al cuore di ciò in cui credono. «Come si fa a spiegare il valore dei vangeli canonici rispetto a quelli che Dan Brown ha usato?». Oggi gli apocrifi hanno unimmensa fortuna: è giusto e bello leggerli come si legge ogni opera letteraria. Ma nello scegliere i quattro testi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni la Chiesa delle origini non ha fatto una scelta indebita o «politica», come sostiene Il Codice da Vinci. I criteri che hanno portato alla formazione del canone sono comprensibili e realistici: quei quattro erano i testi più antichi, i più diffusi, quelli riconducibili alla predicazione apostolica e dunque al racconto dei testimoni oculari, quelli più coerenti sotto ogni punto di vista - storico, politico e religioso - con la società della Palestina del primo secolo. Ben diversa è la realtà dei testi apocrifi, più tardi, spesso intrisi di fantasia e miracolismo. Senza contare, poi, che i vangeli gnostici di cui si serve Brown non avevano lintenzione di raccontare la vita di Gesù, ma di introdurre i pochi eletti, gli intellettuali illuminati, allesoterico sapere gnostico. Non sono stati scritti per il volgo, cioè per tutti noi destinatari dellannuncio di salvezza di Cristo morto e risorto, ma per spiegare una «conoscenza» segreta. I vangeli gnostici presuppongono i testi canonici e dunque sono stati scritti molto più tardi rispetto ai fatti narrati.
Ma la vera, grande domanda, che ho colto tra il pubblico, nel corso di questi incontri, è quella riguardante la diffusa ignoranza religiosa. «Se cè così tanta gente che legge il Codice da Vinci e ci crede, significa che in Occidente troppi hanno perso i rudimenti del cristianesimo e della nostra storia...». È vero, e di questo, con buona pace delle gerarchie, bisogna che facciano «mea culpa» tutti i credenti. Tante, troppe volte la ragionevolezza della fede, la storicità dei vangeli, quegli indizi disseminati nei testi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni vengono dati per scontati. Sono scomparsi dalla predicazione, dalla catechesi, dallora di religione.
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