La giungla dei ricorsi

RomaPer districarsi nella selva giuridica messa in piedi dalla Bresso al fine di ribaltare l’elezione di Roberto Cota in Piemonte, servirebbe una laurea specialistica in diritto amministrativo e civile. Tuttavia il risultato sarebbe comunque paradossale: più ci si addentra nel groviglio, meno si comprendono le ragioni del ricorso, e soprattutto i motivi dell’ultima sentenza del Tar. «Le leggi vanno rispettate», dice giustamente la Bresso. E allora vediamo, in sintesi (grazie all’aiuto dell’avvocato Luca Procacci che segue la Regione Piemonte), quali sono le leggi che fanno da cornice alla telenovela piemontese.
La prima, che sta alla base del ricorso contro la lista Scanderebech (collegata a Cota), è una legge regionale, introdotta nel luglio 2009 proprio dalla giunta Bresso. Secondo questa legge (elettorale), i capigruppo in Regione possono «esentare» una lista dalla raccolta di firme. In sostanza un capogruppo può fare da garante per la presentazione di una lista elettorale, «anche a favore di lista - si legge al punto “c” della legge regionale 21/2009 - con denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento». È esattamente il caso della lista Scanderebech, cioè di un capogruppo (ex Udc, ma ancora formalmente capogruppo) che ha autorizzato la presentazione di una lista diversa da quella del gruppo consigliare di collegamento. La stessa operazione è stata fatta per altre undici liste, molte delle quali collegate alla Bresso e non a Cota. Il Pd per esempio ha «esentato» i Radicali, e altre liste hanno goduto dello stesso privilegio. Tuttavia il Tar ha giudicato inammissibile solo la lista di Scanderebech, ordinando il riconteggio.
Eppure, oltre alla citata legge regionale, ci sono anche due sentenze precedenti che sostengono l’esatto contrario. Perché l’Udc, ancora prima del voto, aveva già fatto ricorso contro la lista Scanderebech, sulla base della medesima argomentazione usata ora dalla Bresso. E i due tribunali chiamati a pronunciarsi, quello di Asti e quello di Cuneo, hanno respinto il ricorso, ammettendo la lista «incriminata». Ma perché, allora, i giudici del Tar dicono il contrario rispetto ai giudici dei due tribunali piemontesi?
C’è poi un secondo punto molto opinabile. Cioè il rilievo secondo cui sarebbero valide solo le schede con la doppia croce. In pratica, secondo il Tar, chi ha votato la lista di Scanderebech (è lei il vero centro del ricorso) ma non ha messo anche la croce sul nome Cota, non ha votato Cota. Anche qui la cosa è molto strana. La legge per le elezioni dei Consigli nelle regioni a statuto ordinario (legge n. 43/95) dice espressamente che il candidato presidente può essere votato anche votando una lista, in base al principio del favor voti, per cui deve sempre prevalere la salvaguardia della volontà popolare espressa con il voto. Anche le circolari del Viminale, applicate dai presidenti di seggio nelle scorse regionali, e poi gli spot istituzionali prodotti dal ministero degli Interni per spiegare le modalità del voto, istruivano i cittadini sulla possibilità di votare anche solo una lista collegata al candidato presidente (automaticamente «scelto» con questa opzione). Invece il Tar ha detto che non è così, nel caso della lista collegata a Cota. Anche se (e questo è uno dei casi prodotti dagli avvocati del governatore) una precedente sentenza in Sicilia, per un caso del tutto analogo, ha fatto valere il ragionamento opposto, assegnando le schede con una croce solo su una lista anche al sindaco lì candidato.
Insomma la giurisprudenza sembra nettamente a favore del presidente del Piemonte, malgrado i cavilli sollevati dai suoi nemici.

Tanto è vero che nell’entourage di Cota non si vuol prendere neppure in considerazione l’ipotesi di una sconfitta giudiziaria, con una assegnazione «a tavolino» della Regione alla candidata sconfitta alle elezioni (come chiede la Bresso). Non si è mai verificato nella storia della Repubblica un fatto analogo. Solo in due casi, in Molise e Abruzzo, si è andati ad una seconda elezione.

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