di Lucio DArcangelo
Evviva! LItalia sè desta. Grazie al ministro Ronchi che, con lappoggio di tutto il governo, ha denunciato in una nota recente le discriminazioni linguistiche dellUnione europea. Come è noto, la lingua italiana è stata esclusa dalle lingue di lavoro della Ue, e ciò a suo tempo ha suscitato le proteste dello stesso nostro presidente del Consiglio, che invitò i parlamentari europei italiani a disertare le riunioni se i documenti non fossero stati disponibili in italiano. Da considerare anche che da qualche tempo nelle scuole britanniche è stato abolito linsegnamento delle lingue straniere, e sono state eliminate tutte le scritte in latino. Dora in avanti, dunque, tutti gli atti ufficiali saranno redatti solo in inglese, tedesco e francese: ciò che conferma e amplifica legemonia di quelle nazioni in seno allUnione europea. Ciò è tanto più grave in quanto il peso politico dellItalia non è, o non è stato, inferiore.
LItalia è stata socio fondatore dellUnione europea e convinta sostenitrice delleuropeismo, senza contare che, culturalmente parlando, molto di ciò che oggi è europeo è stato italiano. Limportanza di una lingua, infatti, si misura anche e soprattutto dalla cultura che rappresenta. Lesempio più calzante ci viene proprio dal latino, che si impose come lingua universale ma non soppiantò il greco, che restò come lingua di cultura e come tale ci è stata tramandata.
Litaliano è una delle lingue più studiate nel mondo, la quinta, secondo le statistiche più accreditate, ed è oggi considerata la terza lingua classica e universale dopo il greco e il latino e la sua emarginazione in seno allUnione europea è ancora più eclatante.
Le conseguenze delle decisioni di Bruxelles sono state pesanti per il nostro Paese. I bandi per lassegnazione dei fondi europei alle aziende italiane escludono sistematicamente la lingua italiana creando non poche difficoltà per le piccole e medie aziende. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è il recente concorso bandito dallUfficio di selezione del personale europeo che prevede prove soltanto in inglese, tedesco e francese con il rischio che siano preferiti i parlanti di quelle lingue. A questo episodio si riferisce la nota del ministro Ronchi, che chiede per lItalia la parità con le altre lingue dellUnione.
Si tratta di una iniziativa benemerita alla quale non si può non guardare con soddisfazione. Ma non si può difendere litaliano allestero se prima non lo si difende nel nostro Paese. Mentre si ufficializza luso di alcuni dialetti, litaliano resta ancora una lingua «ufficiosa», non nominata neppure nella Costituzione. Decenni di incuria e laissez faire hanno reso luso della nostra lingua incerto e approssimativo. Tutto è cominciato negli anni Settanta, quando andava di moda linvito a lasciare la lingua ai parlanti, e si tollerava ogni arbitrio e ogni scorrettezza espressiva in nome di una presunta libertà. A tuttoggi si seguita a parlare di un italiano cosiddetto democratico, dimenticando ciò che ogni linguista o professionista della linguistica dovrebbe sapere: che nella lingua innovazioni ed usi non vengono mai dal basso. Che fortuna avrebbe avuto una parola come inciucio se non fosse stata pronunciata da una personalità politica? E langlicizzazione? Viene dal basso? Gli stessi principi normativi che regolano la nostra lingua non sono venuti dallalto, ossia dalla scuola? Grazie a questo democratismo rococò, che non ha niente a che vedere né con la lingua né con la democrazia, un patrimonio linguistico plurisecolare è stato messo nel cassetto per aprire le porte a forestierismi inutili ed effimeri.
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