Gm, l’ultima sfida di Wagoner, l’indistruttibile

da Milano

È il top manager dalle sette vite. Dato per «spacciato» in più occasioni, visto che da quando ha preso il volante della General Motors, otto anni fa, ha dovuto gestire non poche crisi, Rick Wagoner ha nuovamente ottenuto la fiducia del consiglio di amministrazione. Ma per l’ex giocatore di basket ora 55enne, il più giovane numero uno che la Gm abbia mai avuto nella sua storia, la riconferma suona come l’ultima prova d’appello. Il cda del colosso di Detroit, che ha appena annunciato un rosso di 15,5 miliardi di dollari nel trimestre, lo ritiene «il più adatto a gestire il momento in cui si trova il gruppo».
E non poteva che essere così: il presidente e ad della Gm ha ormai fatto il callo alle situazioni di emergenza e, all’interno del board, nessuno ha forse voluto correre il rischio di cambiamenti, tanto la situazione del gruppo e del mercato è incandescente. L’azienda, per la quale Merril Lynch ha recentemente paventato lo spettro della bancarotta, è all’ultima spiaggia. «Wagoner è un bravo manager - dice un osservatore - e in tempi normali le misure anti-crisi messe in campo (chiusura di fabbriche, tagli di personale, dismissioni) sarebbero sicuramente bastate. Ma questa volta le dimensioni della crisi sono “eccezionali” e i provvedimenti appena decisi avranno i loro effetti solo dal 2010: il “buco” negli Usa è talmente grosso che finisce per divorare tutto quanto di buono la Gm sta facendo nelle altri parti del mondo, soprattutto in Europa, Russia e Cina». Non è un caso che il pungente Jerry Flint, nella sua rubrica sul sito di Forbes, ha consigliato alla Gm, paragonata a «un elefante che ormai ha preso troppe frecce» e quindi sul punto di crollare, di separare le attività all’estero da quelle americane, visto il peso sempre minore che gli Usa stanno avendo nelle strategie del gruppo. Uno sbilanciamento, questo, reso evidente dalle seguenti ragioni: la responsabilità ingegneristica delle piccole auto ha il quartier generale in Corea (ex Daewoo); a occuparsi dello sviluppo dei veicoli compatti è la filiale europea; le piattaforme per la trazione posteriore nascono in Australia. In Nord America, invece, si trova la «testa» dei Suv e dei pick-up, proprio le categorie di modelli a cui gli yankee hanno girato le spalle, a favore di mezzi meno dispendiosi, costringendo la General Motors a ripartire dal foglio bianco per riprogettare una gamma in linea con le nuove esigenze del mercato. Capro espiatorio sarà il marchio Hummer, anche se sono in molti a chiedersi quale utilità, per Gm, hanno in questo momento una Buick con la gamma all’osso e una Saab in continuo debito d’ossigeno. Wagoner ha deciso di affrontare la sfida della vita con una strategia di attacco («ho approntato un piano per essere vincente e non per sopravvivere»), anche se i maxi-incentivi (finanziamenti fino a 6 anni a interessi zero) per respingere l’offensiva dei rivali giapponesi non ha avuto gli effetti auspicati: Toyota ha superato gli americani nel primo semestre.

Con Jd Powers ormai alla terza revisione al ribasso delle proiezioni per fine anno del mercato automobilistico negli Usa e il Crédit Suisse, tanto per citare l’ultimo caso, che ha dimezzato il target price di Gm a 7 dollari, probabilmente Wagoner non sa se ringraziare o meno gli indipendenti George Fisher e Armando Codina, i suoi due «angeli custodi» nel cda di Detroit.

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