La mia parte indignata è morta, se mai sia vissuta. Non me ne importa delle lauree dei famigli, delle macchine sgargianti e rombanti, del giro della Rosi (che naturalmente deve lasciare la carica senatoriale seduta stante), della moglie arpia, dei poteva o non poteva non sapere a proposito di un uomo che è stato grande nella salute e grandioso nella malattia. Bossi non lo vedo da quasi vent’anni, quando mollò il primo governo Berlusconi lo chiamai in faccia in tv «la cara salma», e mai previsione fu più azzardata. Del bossismo non ho amato mai nulla, non ho mai urlato il «grazie barbari» del compianto Giorgio Bocca, non ho mai flirtato in chiave antipolitica con il cappio in Parlamento e tutto il resto di «Milano, Italia», ho sempre considerato la Lega una tribù sciamannata e una satrapia personale dai toni pagani, figuriamoci, a me piaceva il garibaldino Craxi e, se era per la Lega e i suoi tesorieri, preferivo Citaristi e la Dc. Di Roma ladrona sono figlio e abitante, ne so più di Fiorello e dei nuovi stornellatori.
Di nemesi non sono autorizzati a parlare quelli di Repubblica. Sono sempre stati, loro e il loro esercito politico di riferimento, dalla parte del giustizialismo, anche di quello duro e puro alla leghista, se era per colpire chi non rientrava nel cerchio magico dei loro interessi e pregiudizi. Troppe ne abbiamo viste, noi garantisti, di nemesi. A partire dal loro eroe preferito Di Pietro, anche lì macchine sgargianti e un partito padronale-contadino, per finire con la sinistra perbene che i suoi sistemi fatti apposta per abusare dei finanziamenti pubblici e accaparrarsi ogni tipo di finanziamento irregolare li ha messi in piedi senza pudore o, se volete, con grande ipocrisia. Però il mancato riconoscimento della vera storia di Umberto Bossi, il seppellimento sotto i lazzi e gli insulti della sua rozza ed eccezionale avventura che ha convinto un terzo degli elettori del Veneto, un quarto di quelli della Lombardia e che ha cambiato la cultura e l’incultura politica italiane, questo mi avvilisce e mi umilia come persona che ama la storia e la politica, che desidera capire le cose e non esercitare la superbia del proprio io nel gesto d’accusa.
Prima di Bossi il nord di questo Paese non esisteva, né civilmente né politicamente. Bossi nasce da una costola della sinistra, come disse una volta D’Alema. Forse. Nasce certamente da una costola del mio Paese, e chi oggi getta palate di infamia su di lui e sulla sua parabola non si rende conto di quello che dice o lo dice in perfetta malafede. Quando ebbe un primo attacco del male dopo un comizio, questo straordinario popolano da pizzeria, Craxi gli fece immediati auguri «perché ho bisogno di avversari sani». Nessuno come un capo socialista del sistema dei vecchi partiti era lontano dal bossismo e dalla sua versione dell’attacco alla casta romanocentrica. Ma nella vecchia cultura repubblicana il senso della storia era vivo, e anche gli avversari sapevano rispettare uno spiantato da falsa laurea capace di sollevare le valli e le città e la grande pianura padana in un’impresa che aveva effetti sismici sulla pietrificata mentalità delle vecchie istituzioni sabaude e meridionali. Siamo diventati, per quanto riguarda il linguaggio della classe snobistica che fa l’opinione e scrive sui giornali, una comunità di guardoni e uditori giudiziari, gente che non ha lo sguardo lungimirante e pietoso necessario a comprendere, che non vuol dire giustificare o chiudere un occhio, vuol dire al contrario spalancare gli occhi.
Padre debole e sentimentale? Chissenefrega. Marito birbaccione rientrato e rinchiuso nell’ovile del coniugio nel momento disperato della menomazione da malattia? Chissenefrega. Non sapeva far di conto sui nostri soldi, affidati a improbabili suoi tesorieri senza che fossero fissate regole sicure di controllo e certificazione?
Chissenefrega. Se è per questo, anche il dignitoso e non ladro Rutelli di conti se ne intendeva a quanto pare pochino, e i Lusi di tutti i partiti, tutti, sono per legge le persone più libere di peccare e incasinare i conti che ci siano al mondo.
Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio, la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro non è mai stato.
Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di parlare. Chi ha il diritto di parlare?
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