Governo contro sciiti filoiraniani È guerra del petrolio nel Sud Irak

da Washington

La tanto attesa decisione sulla riduzione delle truppe Usa in Irak non è stata presa. Il numero di militari americani resterà lo stesso per tutto il 2008 e, stando ai piani presentati dal generale David Petraeus e dall’ambasciatore Ryan Crocker a George W. Bush, ogni iniziativa di un certo peso spetterà a chi si insedierà a gennaio alla Casa Bianca.
Secondo quanto riporta il New York Times, Bush, Petraeus e Crocker hanno parlato per due ore in videoconferenza e il generale ha suggerito al presidente di rinviare ogni decisione sulla riduzione delle truppe ad almeno un paio di mesi dopo il rientro di cinque brigate che dovrà iniziare a luglio e che riporterà la presenza americana in Irak a 140mila uomini.
Secondo fonti citate dal New York Times, dopo il ritorno ai livelli di prima della controffensiva lanciata dall’amministrazione Bush all’inizio del 2007, ci saranno altre verifiche sul campo per valutare l’opportunità di una ulteriore riduzione delle truppe. Tutto ciò avverrà senza che siano fissati degli obiettivi vincolanti e - considerato il tempo necessario per smobilitare cinque brigate - non a breve termine.
Durante il briefing con il presidente, Petraeus ha illustrato una serie di opzioni e ha indicato lo spazio temporale dopo il ritiro delle brigate come un momento di «consolidamento e valutazione». La prudenza delle forze armate ha comunque un motivo in più: proprio l’altro ieri il generale Petraeus aveva sostenuto di avere le prove che c’è l’Iran dietro alcuni attacchi alla Zona Verde di Bagdad. In un’intervista pubblicata dal sito web della Bbc, il generale ha affermato di ritenere che Teheran abbia addestrato e fornito armi e finanziamenti agli insorti. La violenza in Irak, ha affermato Petraeus, è fomentata e tenuta viva dalla brigata Al Quds, forza d’elite dei Pasdaran iraniani (i Guardiani della Rivoluzione).
Grazie alla presenza di truppe straniere, secondo un’analisi del think-tank strategico-militare Jane, l’Irak è oggi un Paese «più stabile dell’Afghanistan». In un rapporto che valuta la stabilità delle nazioni, gli esperti di Jane piazzano l’Irak al 22° posto al fianco di Paesi africani come il Niger, la Nigeria, la Guinea Equatoriale e il Burundi. Il posto più instabile in assoluto sono i territori palestinesi, seguiti dalla Somalia e, in terza posizione, dall’Afghanistan.
«Grazie alla presenza di forze internazionali - ha detto Christian Le Miere, a capo del gruppo che ha stilato la classifica - il governo iracheno può estendere la propria autorità su qualunque area ricada nella sua amministrazione.


In confronto in Afghanistan il governo ha un minore controllo del territorio e l’economia dipende per il 50 per cento dalla coltivazione e dal traffico di oppio». Inoltre mentre in Afghanistan le violenze sono aumentare sensibilmente negli ultimi due anni, in Irak si è assistito a un calo di oltre il 60 per cento in poco più di un anno.

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