Politica

«Il governo Prodi nasce già sotto ricatto»

Calderoli: «D’Alema alza il prezzo per il Quirinale»

Fabrizio de Feo

da Roma

La querelle sulla presidenza di Montecitorio apre una prima, profondissima crepa nella maggioranza di centrosinistra e, in prospettiva, tinge di rosso l’intera legislatura. Uno schiaffo all’asse riformista dell’Unione che accende perplessità nel centrodestra, pronto a far scattare l’allarme per una «vittoria antagonista» che, secondo alcuni esponenti di An, mette in dubbio la stessa «qualità della democrazia italiana».
I toni oscillano tra l’ironico e il preoccupato. E c’è anche chi adombra la possibilità di una «pantomima rossa tra comunisti ed ex comunisti» per mettere le mani sul Quirinale. In pratica uno strappo creato ad arte per dirottare Massimo D’Alema verso la presidenza della Repubblica. In questo panorama l’unico esponente del centrodestra che evita, per evidenti ragioni istituzionali, di entrare nel merito politico della scelta di Fausto Bertinotti come candidato dell’Unione alla presidenza della Camera è Pier Ferdinando Casini. «Mi divide da lui una proposta politica che è antitetica alle mie idee» dichiara il leader dell’Udc in una intervista al Tg5 delle 20. «Come uomo lo stimo lo apprezzo. Ma sono convinto che sarà un buon presidente della Camera».
Silvio Berlusconi, per un giorno, si tiene lontano dall’attualità politica e si concede un weekend di assoluto riposo nella sua villa in Costa Smeralda. In tuta ginnica e scarponcini passeggia e fa shopping in una Porto Cervo semivuota. E, come ha fatto a Bologna Romano Prodi, si gusta un gelato, in attesa della visita di alcuni esponenti di Forza Italia. Chi entra con decisione nella questione politica aperta dal diktat di Bertinotti è Maurizio Gasparri. «Prodi paga dazio a Bertinotti dopo il tradimento del 1998. Ma, nonostante i compromessi alla Camera, la vera tomba di questo governo che nasce con le macchine per la respirazione attaccate, sarà il Senato» prevede l’ex ministro delle Comunicazioni. Sull’ondata comunista che si abbatte sulle istituzioni si sofferma Domenico Nania. «La rinuncia di D’Alema apre un serio problema per la qualità della democrazia italiana» dichiara il presidente dei senatori di An. «Dopo che il primo partito dell’Unione aveva rinunciato al candidato premier, facendo salire sul trono una testa di legno, ora i Ds sono costretti a rinunciare a un ruolo istituzionale mentre tutta l’Europa se la ride. In nessun Paese europeo infatti un ramo del Parlamento è presieduto da un comunista rimasto tale dopo il crollo del Muro di Berlino».
Il leghista Roberto Calderoli si sofferma sullo scenario di un possibile doppio gioco dalemiamo. «È evidente che D’Alema non ha rinunciato proprio a un bel niente ma ha soltanto alzato il prezzo, vedendo il Colle più alto come lido dell’ardito nocchiere». Per l’Udc parla Maurizio Ronconi. «Quando Bertinotti annuncia di voler prendere esempio da Lula e Chavez, campione di intolleranza e di settarismo, desta grande preoccupazione». Di governo «sotto ricatto» parla Forza Italia con Sandro Bondi. Fabrizio Cicchitto mette, invece, il dito nella piaga della ritirata diessina. «Per Fassino e i Ds si tratta di una autentica disfatta politica.

Prodi ricorderà il periodo ’96-98 come un paradiso rispetto all’inferno che lo attende».

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