Il governo è "sobrio" ma i parlamentari no

L'esecutivo dei professori avrebbe dovuto riportare un po' di buon gusto nelle Camere. Tra deputate con vestiti sexy e onorevoli in sneakers il cammino verso l'eleganza è arduo

Il governo è "sobrio" ma i parlamentari no

Sobrietà. È parola di moda, usata ed abusata per presentare il nuovo governo e i suoi componen­ti, il loro stile di vita e lavoro, le loro abitudini e il modo di presentarsi. Il recente cambio di ministri e sottosegretari ha fatto entrare nel­l’Aula di Montecitorio il nuovo esecutivo, che è stato accolto con approvazione e definito dai me­dia ossessivamente «sobrio», an­che in riferimento al modo di vesti­re.

Già, perché in genere l’abito si nota e si fa notare, presenta la per­sona che lo indossa, ne svela il ca­rattere e in qualche modo rappre­senta la sua storia e i suoi valori. Non che il precedente governo fos­se criticabile per la moda esibita, ma qualche caduta di stile era evi­dente, soprattutto se all’interno dell’Auladi Montecitorio,un luo­go solenne dove la severità del­l’istituzione che rappresenta e il ruolo per cui ci si trova lì esige un rigore nel modo di abbigliarsi, per chi siede tra quei banchi.

Il personale addetto all’Aula è sempre inappuntabile. I famosi commessi indossano la loro bella divisa con eleganza, giacca e cra­vatta a farfalla per gli uomini, tail­leur e calze anche d’estate per le donne, oltre ai guanti e alle deco­razioni di grado. Di certo non esiste un decalogo scritto di regole e comportamenti per il decoro in Aula, perché do­vrebbe essere implicito e comun­que è stato sempre rispettato da tutti coloro che hanno varcato quella soglia, in particolare da tut­ti i deputati... o meglio, da quasi tutti.

Eh sì, perché in questi ultimi an­ni si sono notati dei look a dir poco stravaganti e delle abitudini fran­camente discutibili.

La settimana scorsa, scenden­do le scale tra i banchi dell’Aula, è stata trovata una calzatura femmi­nile tra i gradini. Era di una deputa­ta che usa togliersi le scarpe quan­do sta seduta in assemblea, e che non si era nemmeno accorta dello smarrimento della sua ballerina che nel frattempo, col passaggio frettoloso dei colleghi, aveva rag­giunto il primo scalino.

Ma non è l’unico esempio dias­senza di bon ton , per dirlo alla Li­na Sotis, visto e mai descritto a Montecitorio.

Molti sono i parlamentari che entrano in Aula la mattina senza cravatta, cosa una volta assoluta­mente proibita, si veniva fermati dai commessi ed accompagnati al guardaroba dove venivano date in prestito delle sostitute per la giornata. Ma fosse solo la cravat­ta! Alcuni di loro sotto la giacca, ob­bligatoria, non hanno la camicia come si dovrebbe, ma indossano una polo o una maglietta che, a dir loro, li fa sembrare giovani e spor­tivi. Ci sono onorevoli che si pre­sentano alla Camera con zainetto in spalla e scarpe da ginnastica, non sempre scure, e tre di loro le calzano in estate con i cafonissimi fantasmini, quei calzini che arriva­n­o al collo del piede lasciando sco­perte le caviglie, oppure esibisco­no le famose scarpe con la suola a pallini senza calze, come se fosse­ro in spiaggia. Della stessa marca vanno per la maggiore le sneakers , che sono state prodotte per il tem­po libero ma che avendo il rialzo interno di cinque centimetri sono diventate le preferite dei deputati meno alti.

E che dire dei pantaloni verdi o rossi, dipende dal partito di appar­tenenza o dalle stagioni, o peggio dei jeans scoloriti, indossati da onorevoli ed ex ministri seduti al banco del governo?

Ma a parte alcune cadute di stile degli uomini, il decoro dell’Aula è spesso ignorato soprattutto dalle deputate. Essendosi abbassata l’età media delle parlamentari ri­spetto alle scorse legislature, si è abbassata la severità della moda indossata. Intanto si sono alzati i tacchi, che ormai svettano da 8 centimetri in su, fino al tacco 12, che viene osato anche da chi non lo sa far camminare, perché le ono­revoli con l’andatura da manne­quin sono due o tre in tutto.

E si sono alzati anche gli orli del­le gonne, specie su gambe che non li meriterebbero, e che si nota­no non solo quando vengono ac­cavallate, ma soprattutto quando alcune onorevoli hanno il cattivo gusto di chinarsi sul banco del go­verno, per conversare con un mi­nistro o avere un’informazione, e regalando all’assemblea intera una prospettiva del loro lato B.

D’estate,poi,sono entrati in Au­la leggiadri abitini corti, impalpa­bili come veli, di sottile maglina, aderenti e strizzati nei punti giu­sti, con bretelline che lasciano sco­perte le spalle, portati con sfaccia­ta disinvoltura e con un pizzico di provocazione per alcune genero­se scollature che suscitano sconta­te fantasie maschili.

D’inverno, invece, c’è stata la moda dei leggings , pantaloni ade­renti e sottili come calzamaglie che vanno indossati infilati den­tro gli stivali al ginocchio, che ha trasformato molte parlamentari in improbabili moschettiere a cui mancava solo la spada, e spesso anche il fisico e l’età per un look co­sì poco adatto al ruolo, e della qua­le c’è stata una vera epidemia. Tanto che nella stagione inverna­le almeno una onorevole su due ha indossato i pantaloni dentro gli stivali, una moda adatta alle tee­nager e lanciata dalle soubrette del mondo dello spettacolo.

La cosa più imbarazzante è che le deputate in questione sono ap­parse con quei vestitini e con quel­le calzamaglie anche nelle tra­smissioni televisive dove si discu­teva di attualità politica, confon­dendo così l’esibizionismo con i temi drammatici di cui si era chia­mati a parlare e trasmettendo agli italiani un’immagine priva di au­torevolezza di se stesse e del parti­to di appartenenza.

Per tornare al tema iniziale del­la sobrietà, le nuove ministre si di­sti­nguono per la loro evidente nor­malità e la loro asciutta eleganza che contrasta con la stravaganza e, se permettete, la volgarità, di certi abbigliamenti esibiti in quel­la stessa Aula.

Come siamo certi che non vedremo mai uno dei pro­fe­ssori chiamati al governo varca­re quella soglia in jeans e scarpe da ginnastica. E anche questi so­no segnali del cambiamento di un’epoca, di uno stile, di una cul­tura.

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