Governo

Il governo Meloni non nazionalizzerà l'Ilva

Il ministro degli Esteri Tajani e quello del Made in Italy Urso smentiscono i rumors

Il governo Meloni non nazionalizzerà l'Ilva

Resta ancora aperta l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, riunita oggi dopo due precedenti incontri già consumati senza soluzione. Il socio privato ArcelorMittal e quello pubblico Invitalia non hanno ancora trovato un accordo su come procedere.

A tale proposito il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha detto che la linea del governo in carica diverge da quella del governo Draghi, che aveva dato mandato a Invitalia di firmare un accordo con ArcelorMittal per posticipare al 2024 il closing del contratto con il passaggio in maggioranza della parte pubblica come stabilito dal governo Conte.

“Noi non siamo d'accordo con l'obiettivo della statalizzazione cui giungere entro il maggio 2024, delineato dalla maggioranza che ci ha preceduto, 60% del pubblico e 40% del socio privato” , ha detto oggi il ministro Urso in un’audizione parlamentare.

Il governo Draghi fece quella scelta perché nel 2022 i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria (nominati dal Mise) presentarono istanza di dissequestro degli impianti, e la corte d’Assise di Taranto lo negò. Per contratto infatti condizione imprescindibile per il passaggio dello stato in maggioranza è il dissequestro degli impianti, che ad oggi, dal 2012, sono ancora sotto sequestro. Se lo Stato entrasse in maggioranza senza dissequestro si configurerebbe danno erariale, come dichiarato dallo stesso ex ad di Invitalia Domenico Arcuri in uno degli ultimi tavoli al Mise.

Urso però non vuole nazionalizzare Ilva (o meglio la sua gestione, visto che gli impianti sono sempre di proprietà pubblica) ma cerca partner privati. Nuovi rispetto ad ArcelorMittal? Nei giorni scorsi qualcuno ha fatto girare la voce di Arvedi, che oggettivamente non ha i numeri per competere con il leader mondiale dell’acciaio. E infatti ha già perso la gara del 2016 dove Arvedi partecipò in cordata con Jindal, che da tre anni non riesce a fare l’investimento promesso per un forno elettrico a Piombino.

“Noi prevediamo che la produzione siderurgica, in cui lo Stato può e deve intervenire, soprattutto nei momenti critici, deve comunque essere realizzata da un partner industriale, che deve essere realizzata da privati. Questo deve essere chiaro, non è questo il nostro obiettivo", ha aggiunto oggi Urso però dopo che giorni fa aveva dichiarato che “l’Ilva è un treno che sta deragliando” provocando un grosso danno di immagine all’azienda, per la quale ora vorrebbe cercare un partner privato.

Ma soprattutto lo ha detto dopo che stamattina a fermare le sirene della nazionalizzazione che erano girate nei giorni scorsi (chiesta dal presidente Emiliano e dal sindaco di Taranto, pronti a entrare nel cda) era intervenuto il ministro degli Esteri Antonio Tajani dicendosi contrario. Da settimane infatti si rincorrevano voci all’interno del consiglio dei ministri contrari a quella di Urso.

"L'Ilva è un dossier strategico che sto affrontando con gli altri ministeri competenti - ha detto Urso in Parlamento- La nostra intenzione è quella di mantenere e rafforzare la funzione strategica dell'industria siderurgica del nostro Paese anche con l'obiettivo di realizzare un piano siderurgico nazionale che in realtà non vi è mai stato, che tenda insieme tutto quello che si può fare, non soltanto nei principali siti produttivi, certamente a Taranto, a Genova, ma anche a Piombino, così come a Terni. Abbiamo un confronto attivo con l'azionista privato". Urso ha quindi spiegato: "Il nostro obiettivo è confrontarci con le parti, pubbliche e private, per giungere a una soluzione che sia sostanzialmente una ricapitalizzazione dell'impresa. Ci auguriamo con la partecipazione privata sempre più significativa, per avere le risorse ulteriori per intervenire fin da ora nel processo di riconversione industriale 'green' dell'azienda e il raggiungimento degli obiettivi, raggiungere al più presto i 6 milioni di tonnellate di produzione di acciaio, magari tornando poi agli 8 miliardi".

Anche qui, non si sa cosa si intenda per riconversione “Green”. Il progetto a idrogeno è futuribile, su dieci anni, costa 6 miliardi solo per gli impianti, e non sappiamo se avremo mai idrogeno per 8 milioni di tonnellate d’acciaio e quanto costerà.

Mentre proprio oggi si è riunito l’osservatorio ambientale Ilva (istituito col piano ambientale del dpcm 2017) e il ministero della Salute ha detto che a giorni presenterà la valutazione preventiva del rischio sanitario su 6 milioni di tonnellate di produzione a piano ambientale completato, mentre il ministero dell’ambiente ha già annunciato una riduzione del 40 % delle emissioni. Questo vuol dire che a prescrizioni avvenute, con tre altoforni accesi, non ci sono rischi per la salute e l’ambiente. Ilva, in sostanza, è già green.

"Noi non siamo d'accordo sul declino industriale del nostro Paese- ha concluso Urso-e cerchiamo di invertirlo fin da oggi, con l'obiettivo non di avere un'impresa con lo Stato in maggioranza, ma dove i privati siano in maggioranza e lo Stato può essere, come in altri casi, un partner di minoranza di eventuali imprenditori di carattere industriale”.

Sullo stesso argomento è intervenuto anche il presidente di Confindustria Bonomi in conferenza con la stampa estera: Spero che non si arrivi ad una nazionalizzazione se non già in presenza di un piano per il futuro".

Alla domanda se "l'acciaio e il ciclo a caldo sono fondamentali per il Paese o no" Bonomi non ha risposto, ma ha rilanciato: “Io credo che il Paese non si sia dato ancora una risposta che invece è fondamentale : se noi perdiamo una delle più grandi acciaierie d'Europa, se non la più grande, importante per tante nostre filiere, credo che facciamo un errore. Intervenire comunque sull'ex Ilva "è molto complesso, perché - secondo Bonomi - si sono stratificati una serie di interventi errati nel tempo e oggi abbiamo un'ulteriore difficoltà: solo capire oggi di chi è la proprietà degli impianti non è così semplice. E in una situazione di non chiarezza diventa difficile per chiunque. Ci vorrebbero dei partner industriali che possano operare al meglio”.

Che quindi per il presidente di Confindustria, ArcelorMittal non sia partner industriale che possa operare al meglio?

Commenti