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Risolta la grana Superbonus. Nadef, Pil rivisto al ribasso

Eurostat: "I crediti possono essere computati nel 2023". Niente maxideficit nel 2024, ma la crescita sarà dell'1%

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Una notizia buona e una meno buona sul fronte dei conti pubblici ha caratterizzato la giornata di ieri. Quella positiva riguarda i criteri contabili per la classificazione dei crediti d'imposta Superbonus 110% che Eurostat continua a considerare «pagabili» e, dunque, computabili nell'anno di utilizzo della misura, scaricando il futuro da questo ingombro. Quella meno buona attiene le stime di crescita della Nadef che oggi sarà approvata dal Consiglio dei ministri.

Le previsioni sul Pil 2023 e 2024 saranno riviste al ribasso con il Pil tendenziale tagliato da +0,9% (+1% il programmatico) a +0,8% per quest'anno e da +1,4% della stima del Def a +1% per il prossimo. Tale revisione impatterà notevolmente sul deficit e, nelle more della riunione dell'esecutivo, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, è chiamato a operare una scelta del profilo macroeconomico da privilegiare. Ma proprio su questo punto giunge in soccorso il responso di Eurostat su un quesito dell'Istat. L'istituto statistico comunitario ritiene che il Superbonus conseguito nel 2023 vada registrato nei conti pubblici come credito d'imposta pagabile nel 2023. Per quanto riguarda la contabilizzazione del Superbonus maturato nel 2024, Eurostat ha chiesto all'Istat un riesame, al più tardi entro la fine del primo semestre 2024, tenuto conto della sviluppo della vicenda dei crediti d'imposta incagliati e, soprattutto, dello stop alla cessione dei crediti che potrebbe comportare una revisione ulteriore a «non pagabili» e, dunque, da spalmare nel decennio di vigenza della detrazione. L'Istat ha evidenziato che le perdite sui crediti incagliati, al momento, non sono significative.

Che cosa significa tutto questo all'atto pratico? Che si può mettere a bilancio nel 2023 quel tipo di spese fiscali mantenendo relativamente «pulito» sul fronte deficit il 2024, anno in cui il Patto di Stabilità rientrerà in vigore. Ecco perché il governo starebbe pensando di alzare l'asticella del disavanzo atteso quest'anno tra il 5% e il 6% dal 4,5% del Def, scaricando tra i 20 e i 25 miliardi di deficit dopo quanto effettuato per il 2020 (dal 9,5% al 9,7%, 3,3 miliardi), per il 2021 (dal 7,2% al 9%, 32,2 miliardi) e per il 2022 (dal 5,6% all'8%, 49,6 miliardi). In quel caso sarebbero «coperti» quasi tutti i 110 miliardi di crediti da compensare (130 miliardi il totale stimato).

Se dal punto di vista del deficit e del debito 2024 questo orientamento può contribuire alla messa in sicurezza dei conti tranquillizzando i mercati, è chiaro che per la manovra resterebbero non troppe risorse. Il Tesoro sarebbe intenzionato ad alzare sia il disavanzo tendenziale (dal 3,5 al 3,8%) che il programmatico (dal 3,7 al 4,2-4,3%). In questo modo resterebbero confermati i 4,5 miliardi di deficit da sommare ai risparmi dei ministeri (300 milioni) e ad altre entrate come la tassa sugli extraprofitti per blindare il taglio del cuneo fiscale da 9-10 miliardi) . L'intenzione sarebbe comunque quella di mettere a punto una manovra light tra i 20 e i 25 miliardi nella quale inseirre anche una minima revisione delle aliquote Irpef per salvare il taglio del cuneo dal cambio di scaglione almeno per i redditi fino a 28mila euro lordi. Anche perché bisognerà disinnescare anche quest'anno la mina di plastic e sugar tax che valgono 1,3 miliardi nel complesso. E, infine, bisognerà dare un segnale sulle infrastrutture. Come ha confermato ieri il vicepremier Salvini relativamente al Ponte sullo Stretto, l'obiettivo è garantire il finanziamento «per una cifra non superiore ai 12 miliardi di euro spalmata nei prossimi 15 anni».

Ma senza perdere di vista il calo del debito che nel 2022 era al 141,9% del Pil.

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