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"Ucraina, Gaza e l'Occidente: la mia idea di pace". Intervista a Giorgia Meloni

La premier guida il G7 a Kiev. "Solo difendendo l'Ucraina si può avere una pace giusta. Su Navalny responsabilità di Mosca. Serve un lungo cessate il fuoco per dare prospettive a Gaza"

"Ucraina, Gaza e l'Occidente: la mia idea di pace". Intervista a Giorgia Meloni Esclusiva

Giorgia Meloni, oggi sarà a Kiev per il primo vertice in videocollegamento del G7 a guida italiana, a fianco del presidente Volodymyr Zelensky. Un segnale forte e chiaro, due anni dopo l'invasione dell'Ucraina. Nella capitale in guerra è previsto anche l'arrivo della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, del premier del Belgio e del primo ministro canadese, Justin Trudeau, che accoglierà Meloni nel suo Paese il 2 marzo. La premier italiana il giorno prima sarà a Washington alla Casa Bianca per incontrare il presidente americano Joe Biden. In questa intervista esclusiva al Giornale, il presidente del Consiglio parla dell'Ucraina e dei preoccupanti scenari internazionali.

Ventiquattro febbraio, due anni fa la Russia invadeva l'Ucraina. Cosa dirà oggi al primo vertice del G7 con la presidenza italiana?

«Che l'Italia, l'Europa e l'Occidente devono continuare ad essere al fianco di Kiev, perché difendere l'Ucraina non vuol dire amare la guerra, ma esattamente il contrario. Vuol dire allontanare la guerra, tutelare il nostro interesse nazionale e impedire che il sistema internazionale fondato sulle regole vada definitivamente in frantumi. Non conviene a nessuno, a noi europei per primi, un mondo nel quale vige il caos e non la forza del diritto».

I russi avanzano, gli ucraini sono in difficoltà. Si rischia di perdere la guerra?

«Quando il 24 febbraio di due anni fa la Russia ha invaso l'Ucraina in molti hanno pensato che fossimo davanti ad un cigno nero della storia, ovvero un evento del tutto imprevedibile. In realtà, l'invasione russa era la naturale e prevedibile conseguenza della visione neoimperialista di Putin, già manifestata da molti anni e su vari fronti. Ma due anni fa le ambizioni di Mosca si sono infrante contro un vero cigno nero, l'incredibile resistenza del popolo ucraino. Nei piani di Putin la guerra sarebbe dovuta durare pochissimo e, una volta capitolata l'Ucraina, l'attenzione si sarebbe rivolta ad altri Stati confinanti, non solo europei. Ciò non è successo. L'Ucraina non è capitolata in pochi giorni, ha liberato gran parte del territorio occupato, ha reso inimmaginabile ogni ipotesi di invasione totale e ha inferto alla Russia perdite estremamente ingenti. Obiettivi strategici che la disinformazione russa cerca di nascondere».

È indubbia una certa «stanchezza» occidentale per la guerra nel cuore dell'Europa.

«Il desiderio di pace dei nostri cittadini è sacrosanto, e lo comprendo perfettamente. Ma ciò che sta accadendo in Ucraina non è qualcosa di lontano da noi nello spazio e nel tempo, è qualcosa di molto più vicino di quanto si possa credere. Guardi, ho ancora in mente un episodio che mi ha raccontato Paolo, uno dei miei collaboratori pochi giorni dopo l'inizio dell'invasione russa. Uscendo di casa per venire in ufficio ha incrociato sull'uscio del palazzo una famiglia mai vista: mamma, papà e tre figli, una quasi adolescente e due più piccoli. Vestiti pesanti, pieni di cose, con le valigie e gli zaini sulle spalle, e gli occhi un po' smarriti. La bimba più piccola con una sciarpa rosa al collo e un paraorecchie con Minnie. Lì per lì lui non ci ha fatto caso, ma poi ha chiesto ai suoi vicini. E ha scoperto chi fossero quelle persone: una famiglia ucraina, scappata dai bombardamenti e rifugiata da noi, accolta da una parente, che viveva nel suo stesso palazzo. Giorgia, in quel momento la guerra è entrata in casa mia, è stato un pugno

nello stomaco, mi ha detto, con gli occhi lucidi. Lui che ha tre figli e che in quei tre bimbi, in quella mamma e in quel papà, aveva probabilmente rivisto l'immagine della sua famiglia. La guerra in Ucraina ci riguarda tutti, e ci tocca da vicino. Molto di più di quello che si possa pensare. Non solo dal punto di vista umano, ma ancor di più da quello geopolitico e di sicurezza».

Esiste uno spiraglio, possibilità, un piano per far tacere le armi accettabile a tutte e due le parti?

«Vede, la fine della guerra e la costruzione di una pace giusta e duratura sono i nostri obiettivi. E dobbiamo spendere ogni energia in questa direzione. Ma Putin può essere convinto a sedersi al tavolo dei negoziati solo se viene garantito l'equilibrio delle forze in campo. E questo può essere assicurato solo se l'Italia, l'Europa e l'Occidente continueranno ad aiutare l'Ucraina. Questo è un fattore decisivo, e sono orgogliosa del contributo che questo governo ha dato in Europa per raggiungere l'accordo in Consiglio europeo sul sostegno all'Ucraina per i prossimi quattro anni. Non era affatto scontato».

Il futuro dell'Ucraina è nell'Unione europea?

«Noi crediamo nel futuro europeo dell'Ucraina, perché l'Ucraina è un pezzo d'Europa e come diceva Giovanni Paolo II il nostro Continente, per respirare, ha bisogno dei suoi due polmoni: quello occidentale e quello orientale. Il sostegno italiano al processo di adesione dell'Ucraina all'Unione europea non è mai mancato e siamo molto soddisfatti dei progressi che si stanno facendo in questa direzione».

Alexei Navalny, il leader dell'opposizione russa, è morto in prigionia. Omicidio o motivi naturali è sempre responsabilità di chi lo teneva dietro le sbarre oltre il Circolo polare artico. Cosa ne pensa?

«Mi limito a guardare ai fatti, esattamente come ha fatto lei. Se Navalny non fosse stato imprigionato dal governo russo in un carcere siberiano e in condizioni durissime, non solo oggi sarebbe un uomo libero ma anche vivo e in salute. Le responsabilità del regime russo sono chiare».

La guerra scatenata da Hamas sembra senza limiti. L'Italia è amica di Israele, ma abbiamo rapporti storici anche con i palestinesi. Quale messaggio vorrebbe dare a tutti e due i popoli?

«Mi lasci dire, prima di tutto, che si sta purtroppo concretizzando la peggiore delle previsioni che avevamo fatto all'indomani del 7 ottobre. Il brutale attacco di Hamas, il massacro perpetrato ai danni dei civili, bambini e anziani compresi, e la ferocia con la quale quella strage è stata portata avanti hanno spinto Israele ad una reazione talmente dura che lo ha portato all'isolamento, tanto in Medio Oriente quanto nelle opinioni pubbliche occidentali. Per questo, chi, come noi, lavora a una de-escalation lo fa soprattutto nell'interesse di Israele e per una fine immediata della crisi. Senza un prolungato cessate il fuoco e una soluzione per gli ostaggi, non è possibile rilanciare la prospettiva politica di due popoli e due Stati, che è quella che noi tutti auspichiamo e che deve vedere tutti in prima linea, a partire dagli attori dell'area. Trovare una soluzione duratura per la questione è nell'interesse di tutti, tanto di Israele quanto della Palestina».

Il conflitto si è allargato dal Libano allo Yemen, alla Siria e all'Irak. Si rischia un'espansione che coinvolga l'Iran e altri Paesi dell'area?

«Il quadro è complesso, e noi stiamo lavorando per evitare un ulteriore allargamento della crisi di Gaza. L'Italia si è attivata con tutti gli

attori dell'area per contribuire a ridurre la tensione ai confini del Libano, in particolare per quanto riguarda le posizioni di Hezbollah».

Via libera alla missione navale europea nel Mar Rosso con il comando tattico italiano. Qual è la posta in gioco per il nostro interesse nazionale?

«Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso mettono a repentaglio la libertà di navigazione lungo una delle rotte commerciali più importanti del mondo, con notevoli aumenti dei rischi e quindi di costi e tempi di trasporto. È una situazione che ha riflessi importanti sulla nostra economia, siamo una Nazione marittima e votata alle esportazioni e il Canale di Suez è cruciale. È nostro interesse proteggere le navi mercantili e io credo che la missione europea Aspides, con il comando tattico affidato all'Italia, possa giocare un ruolo rilevante».

Il Papa aveva parlato di terza guerra mondiale a pezzi. Il terzo «pezzo» dopo l'Ucraina e il Medio Oriente potrebbe esplodere in Estremo Oriente. Teme uno scenario del genere?

«Ciò che penso è che, se la Russia non avesse invaso l'Ucraina, con ogni probabilità Hamas non avrebbe sferrato un attacco di quel tipo contro Israele. Era inevitabile che una violazione così grave del sistema internazionale fondato sul diritto, peraltro per mano di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, avesse conseguenze a cascata su altre aree e quadranti del mondo, dal Medio Oriente ai Balcani, fino in Africa. Questa è la partita che stiamo giocando, e dobbiamo essere consapevoli. Se in Ucraina non viene ristabilita la legalità internazionale, i focolai di conflitto continueranno a moltiplicarsi».

Il Piano Mattei è stato lanciato. E adesso?

«Lo stiamo attuando, esattamente come abbiamo annunciato. In queste settimane si stanno già svolgendo le prime missioni operative nelle Nazioni africane coinvolte dai progetti pilota e abbiamo un cronoprogramma preciso e ben delineato da portare avanti. Nelle prossime settimane si riunirà anche la cabina di regia insediata a Palazzo Chigi e daremo ulteriore struttura al nostro lavoro. Il Vertice Italia-Africa è stato un grande successo e siamo orgogliosi, come Governo, di aver gettato le basi per un cambio di paradigma nei rapporti con il Continente africano».

Come premier, che rappresenta l'Italia, quest'anno presiede il G7. All'inizio i grandi la consideravano «Calimero», il pulcino nero, per usare un eufemismo. Cosa è cambiato?

«Guardi, non credo che i miei colleghi leader delle altre Nazioni G7 mi abbiano mai considerato in questo modo. Anzi, ho sempre riscontrato grande apprezzamento e stima, non tanto nei miei confronti quanto nei confronti dell'Italia. Molto spesso ci dimentichiamo quanto la nostra Nazione sia apprezzata e rispettata fuori dai nostri confini e quanta domanda d'Italia ci sia nel mondo. Dobbiamo solo credere un po' di più in noi stessi. E nessun traguardo ci sarà precluso.

Poi sicuramente avere idee chiare e il coraggio di esprimerle, anche quando significa dire no, rende più credibili che dire sempre sì per assecondare gli altri e magari poi non mantenere gli impegni».

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