
"Acconciossi per via di Ser Piero suo padre nella sua fanciullezza a l'arte con Andrea del Verrocchio, il quale facendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò uno Angelo che teneva alcune vesti".
La prima opera in cui si riconosce la mano di Leonardo, è un dipinto non suo, bensì del Verrocchio, da cui il padre lo mandò a bottega. A dircelo nelle sue Vite è, inequivocabilmente, Vasari. Un Battesimo immerso nella campagna di Firenze, o forse no. Un intelligente studioso ha riconosciuto nella roccia tra il Cristo e il Battista la cascata delle Marmore e il castello che gli è prossimo. Anche la roccia, con l'acqua che cade e finisce nella polla, è un particolare talmente preciso che potrebbe essere riferito a Leonardo. E tendo a pensarlo anche io.
È certo che Il Battesimo di Cristo sia un'opera complessa, nata dalla collaborazione di Verrocchio coi suoi allievi, fra cui Leonardo e Botticelli. L'intervento di Leonardo, nell'angelo mostrato di spalle alla sinistra del dipinto, è un'invenzione magistrale, di estrema naturalezza che, unitamente alla revisione da lui operata nella stesura del paesaggio, dalle lontananze alle acque in primo piano, introduce vitalità e azione in una scena altrimenti statica e tradizionale. Scrive Pietro Cesare Maran: "L'opera è significativa dunque della prassi di collaborazione attuata nella bottega di Verrocchio, responsabile del disegno complessivo e del corpo del Battista, ma che lasciò poi l'esecuzione ad almeno tre allievi (a uno di essi, non particolarmente dotato, spettano la palma a sinistra, le mani di Dio Padre e la colomba; a Botticelli la testa del secondo angelo a sinistra, mentre a Leonardo il primo angelo di spalle a sinistra e tutta la riforma del paesaggio)". L'angelo di spalle è infatti invenzione di tale audacia che, secondo il Vasari, costrinse il Verrocchio ad abbandonare per sempre la pittura: "E benché fosse giovanetto, lo condusse in tal maniera, che molto meglio de le figure d'Andrea (Verrocchio) stava l'Angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch'Andrea mai più non volle toccare colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui".
Così esordisce Leonardo, dunque. L'angelo di destra è opera di Verrocchio o un altro suo allievo: un angelo molto plastico, bello, ma con l'aria anche un po' imbambolata, con gli occhi fissi, statico, scultoreo come una scultura di Verrocchio, appunto. Tutt'altra figura è l'angelo di sinistra, opera di Leonardo: questo angelo vola. Leonardo accentua i ricci con l'oro, lo sguardo è trasparente e mira lontano, le guance sono morbide. In questi straordinari rialzi dorati si sente veramente la levità, la beatitudine dell'angelo. Il giovane Leonardo riesce a rappresentare uno stato d'animo, una condizione spirituale dell'angelo, del tutto diversi da quelli dell'altro angelo di Verrocchio, alla cui bottega Leonardo rimarrà fino al 1476. Pur avendo dismessa la pittura per il confronto con Leonardo, fra il Leonardo pittore e il Verrocchio scultore c'è una forte intrinsichezza, un dialogo sotterraneo, e Leonardo porta a compimento in pittura quello che Verrocchio aveva fatto con la scultura.
Nell'Annunciazione degli Uffizi (1472-75 ca), omaggio e superamento insieme del Maestro, la Madonna è solenne, sta in alto, in uno spazio aulico, e sta sfogliando un libro posto sopra un leggio che in pittura riproduce il sarcofago di Verrocchio della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, come se Leonardo dipingesse quello che Verrocchio scolpisce. Dall'altra parte del quadro un angelo scende su un tappeto di fiori. Nell'Angelo come in altri particolari del dipinto alcuni hanno rilevato errori di prospettiva: "Il muro del palazzotto di sguincio fino al limitar del cielo sarebbe troppo corto e, per converso, troppo grandi le bugne per un tratto così breve di parete; e, parimenti, il cesellato leggio marmoreo sarebbe troppo avanzato rispetto a Maria; da lei così distante da costringere a movimenti innaturali il suo braccio destro, che per conseguenza pare mal concepito". Sono parole di Antonio Natali, già direttore degli Uffizi, che risolve elegantemente la questione. Leonardo non fa alcun errore. Semplicemente, sostiene Natali, il dipinto era pensato per un "fornimento ligneo", cioè per una stanza foderata di legno e probabilmente impreziosita da opere come questa. Spostandosi a destra, infatti, tutto si riequilibra magicamente, e l'Angelo naturalmente si poggia sul manto erboso.
E già in questa prima opera emerge tutta l'attenzione e la curiosità di Leonardo per la natura, e per le sue infinite forme, per gli animali che la popolano e per le piante che la abitano. Leonardo ha una capacità lenticolare di restituirci le meraviglie del creato. E, sullo sfondo, a destra, compare il bellissimo motivo dei ghiacciai lontani, che sembrano sciogliersi nella luce, fino a diventare quasi nebbia. Una montagna reale, naturalistica, ma che sul fondo del paesaggio diventa come un'apparizione, qualcosa di remoto, di sognato. Antonio Natali ha dedicato a questo motivo della montagna un suo studio sull'Annunciazione degli Uffizi: L'Annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare (Silvana Editoriale, 2001). "La visione della montagna - scrive Natali - alta e bianca, sorgente dal mare, è a tal segno icastica da convincere d'essere figura di un'alta valenza simbolica". È lei la vera protagonista del dipinto, perché in essa assume forma il mons montis di Agostino nel suo Commento al Salmo 67.
Ancora Natali: "Proprio una montagna che sorge dal mare, svettando su monti che le stanno d'intorno, è quanto risulta dipinto dal Vinci là dove s'apre il sipario del corteo arboreo, giacché come attesta la linea d'orizzonte che si prolunga fin sotto l'ala dell'angelo, a tagliare un piccolo squarcio di cielo non d'acqua di lago si tratta, bensì davvero di mare. Sicché tutto par farsi metafora dell'Incarnazione: nell'atto dell'annuncio, una vergine concepisce il Figlio di Dio, che si fa uomo (monte dei monti), e viene nel mondo, di cui il mare è figura".