Il Grande fratello secondo "Julia"

Siamo proprio nel 1984, a Londra, capitale della Airstrip One (così è stata ribattezzata l'Inghilterra) governata da un onnipresente partito unico che ha nell'occhiuto Grande Fratello il suo emblema: il mondo di Orwell dove, come nel romanzo, incontriamo Winston e Julia

Il Grande fratello secondo "Julia"
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L'uomo che lavorava ad Archivi aveva «quel modo di fare compassato, imbronciato». Era uno che «si sentiva superiore a tutto e a tutti, un emblema del vecchio pensiero» e infatti i colleghi di Finzione lo avevano soprannominato «Vecchia Miseria». Si chiamava Winston Smith e, agli occhi di Julia Worthing, «Vecchia Miseria Smith» non era poi tanto male, anzi: «Aveva un aspetto sorprendentemente piacevole. Era un uomo asciutto di circa quarant'anni, dalla carnagione chiara e dagli occhi grigi» e dai capelli «folti e sottili e magari anche piacevoli da toccare». Più di tutto, a dispetto del soprannome, il compagno Smith non emanava l'odore di muffa che a lui si sarebbe associato; al contrario, vicino a lui Julia «avvertiva l'aroma buonissimo del sudore maschile». E poi, altro dettaglio non secondario, anche definirlo «compagno» sarebbe stato difficile, perché si capiva che «non riusciva neanche a dire sbuono senza dare l'idea di essersi appena ustionato la bocca», poiché mal digeriva «le parole di Parlanuovo» e si indispettiva perfino per le impiccagioni in pubblico, insomma era stranamente allergico ad alcune delle delizie propinate ai cittadini di Oceania dal Socing.

Siamo proprio nel 1984, a Londra, capitale della Airstrip One (così è stata ribattezzata l'Inghilterra) governata da un onnipresente partito unico che ha nell'occhiuto Grande Fratello il suo emblema: il mondo di Orwell dove, come nel romanzo, incontriamo Winston e Julia, impiegati al ministero della Verità, con mansioni diverse. A distanza di quarant'anni da quella data fatidica, la scrittrice americana Sandra Newman ci racconta la versione di Julia (Ponte alle Grazie): la storia è più o meno la stessa, la prospettiva e alcuni dei - diciamo così - retroscena della vicenda, un po' diversi; quanto al finale, è una sorpresa e come tale va lasciata al lettore, ma si può anticipare che il destino della protagonista rispecchia la prospettiva femminista esplicitamente attribuita all'autrice. Il che non toglie inquietudine alla conclusione, anzi... Inoltre, questa prospettiva femminista è assai relativa, attraverso tutta la trama: è vero che la tragedia di Winston e Julia nasce dall'iniziativa di Julia stessa, ovvero dalla sua volontà di architettare un incontro con Smith; ma è altrettanto vero che la protagonista sembra dipendere moltissimo dall'altro sesso, in quanto... adora andare a letto con gli uomini, possibilmente variando spesso il partner e non disdegnando di essere trattata come una schiava, più che come una principessa. Basti dire come ad attrarla sono anche gli sguardi assassini che Smith le lancia fra i corridoi: il fatto che sembri odiare le donne la eccita, anziché preoccuparla o farla infuriare. Comunque, Julia è una meccanica, lavora in un dormitorio per sole donne e trova nel suo armadietto un bigliettino con scritto «Ti amo»: a mandarglielo è stata una giovane compagna, ma lei decide di riciclarlo e farlo pervenire a Smith; il quale, finito nella sua tela femminile, fa in fretta a passare dall'ostilità alla passione, complici anche certi angoli dei quartieri prolet lontani dal controllo delle telecamere, che Julia si vanta di conoscere.

Il dramma, come su un palco elisabettiano, è inevitabile: i carnefici possono anche illudersi di essere dei burattinai ma, in un mondo dove la manipolazione è l'unica realtà, anche loro scoprono, prima o poi, di essere vittime.

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