E se la sconfitta di Caporetto non ci fosse mai stata? Se gli italiani avessero sfondato il fronte austriaco nella zona di Carzano, nel settembre del 1917, e avessero poi tirato dritto sino a Trento destabilizzando tutto il fronte delle armate austroungariche? Forse la guerra sarebbe finita molto prima, forse centinaia di migliaia di soldati italiani (ma anche austriaci) non sarebbero morti nelle sanguinosissime battaglie del Piave.
Quella che stiamo raccontando non è la fantasia ucronica di qualche fautore della fantastoria. Bensì uneventualità che avrebbe potuto davvero verificarsi, anzi che non si realizzò soltanto a causa dei ritardi, e delle paure, che paralizzarono gli alti comandi italiani. La sera del 17 settembre 1917 lufficiale sloveno Ljudevit Pivko, aiutato da altri «fratelli slavi», dopo aver messo fuori combattimento buona parte di un battaglione bosniaco, ricorrendo anche allalcol e alla droga, creò tutti i presupposti per favorire uno sfondamento del fronte da parte degli italiani. Di più, aiutò personalmente gli arditi italiani, attrezzati con scarpette dalla leggerissima e silenziosissima suola di gomma, a compiere unazione di commando per impadronirsi di importantissimi punti strategici della Valsugana.
Il piano fallì solo per unincredibile catena di ritardi, causata dalla poca fiducia che i nostri generali ebbero negli irredentisti slavi i quali, al contrario, vedevano negli italiani il mezzo migliore per liberarsi del giogo di Vienna che li trattava da sudditi di serie B e li aveva sbattuti al fronte. Lo stesso Cadorna, uomo che non brillava per risolutezza, quando capì quanto fosse grande loccasione che era andata in fumo silurò i due comandanti che avevano fallito nellallestire loperazione (i generali Etna e Zincone). Ma le ramanzine e i cicchetti contavano a quel punto ben poco: come spesso accade in guerra, le situazioni si rovesciarono allimprovviso. Gli italiani erano già diventati, da potenziali vincitori, potenziali perdenti e si videro rapidamente ricacciare verso le rive del Piave. Lì salvò unicamente la tenacia disperata dei fanti.
Per quanto questa vicenda che abbiamo riassunto sia una spy story affascinante, in Italia è stata poco raccontata e analizzata. Ecco perché i mémoires di Ljudevit Pivko, appena usciti per i tipi della Libreria editrice goriziana con il titolo Abbiamo vinto lAustria Ungheria. La Grande Guerra dei Legionari Slavi sul fronte italiano (pagg. 850, euro 35, traduzione di Irene Lampe), sono un documento eccezionale. Mai pubblicati in Italia e di scarsa diffusione persino in Slovenia, dove vennero stampati soltanto nellimmediato dopoguerra, raccontano nei minimi dettagli i fatti che portarono a questo temerario tentativo di tradimento che ha tutte le caratteristiche del più fantasioso romanzo davventura: plichi segreti, messaggi in codice, attraversamenti notturni delle linee nemiche, appuntamenti rischiosissimi tra ufficiali italiani e ufficiali austroungarici.
Citiamo uno degli episodi più incredibili. Come si fa a comunicare oltre le trincee in unepoca in cui le radio sono tuttaltro che portatili? Semplice: gli italiani cannoneggiano le postazioni di Carzano a un ritmo prestabilito per mandare certi messaggi. Messaggi che agli irredentisti sloveni scoppiano letteralmente in testa. Ma la narrazione di Pivko che prosegue oltre i fatti del settembre 1917 raccontando le vicende del «Reparto verde» composto di volontari slavi che continuò a combattere assieme agli italiani, non è soltanto una storia avvincente o la testimonianza di un evento che andrebbe studiato a fondo dagli storici militari.
Insomma, le peripezie di Pivko sono una bellissima metafora che racchiude in nuce la sorte dellAustria-Ungheria e il destino dei Paesi balcanici.
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