«In nome di Dio» gli uomini sono stati capaci di compiere ogni bene e ogni male, ma oggi lespressione viene usata in prevalenza come motto polemico per sottolineare quanto male si possa fare appellandosi alla divinità. «In nome di Dio», per esempio, è il marchio sotto il quale la Kaos edizioni raccoglie i suoi libri di polemica religiosa e anticlericale; e si intitolava In nome di Dio il saggio di David A. Yallop (Pironti, 1997) sulla morte «sospetta» di papa Luciani. Lo stesso titolo italiano è toccato al saggio Sacred causes, dello storico inglese Michael Burleigh, tuttaltro che anticattolico, con il più illuminante sottotitolo «Religione, politica e totalitarismo da Hitler a al Qaeda» (Rizzoli, 638 pagine, 27 euro).
Burleigh, in realtà, ha scritto una storia dellEuropa moderna basata sulla cultura, le idee, la politica e la fede religiosa. Il punto di partenza sono i suoi studi sulla politica trasformata in religione dalla rivoluzione francese, un fenomeno ripreso nel Novecento dai totalitarismi. «La fede esiste dappertutto in una stato di dormiveglia», diceva Hitler, «mentre il trucco sta nel risvegliarla con un credo politico entusiasmante, così come si fa quando si getta un fiammifero sulla paglia secca».
Il nazismo, il comunismo e, più blandamente, il fascismo, attraverso la religione della politica cercarono di modellare «luomo nuovo», invece provocarono alcune fra le più grandi sciagure della storia dellumanità. La stessa strada viene ripercorsa dallintegralismo islamico, facilitato dalla naturale identificazione fra religione e politica.
Analizzando la risposta della Chiesa cattolica a questi fenomeni, Burleigh giustifica le maggiori tolleranze e compromissioni con i regimi di destra rifacendosi alle atrocità anticristiane commesse in Unione Sovietica, Spagna e Messico, ovvero in quello che Pio XI chiamò «il terribile triangolo». Da cattolico, più che da storico, enfatizza limportanza dellenciclica di Pio XI contro il nazismo Mit brennender Sorge (1937) e tende a assolvere Pio XII dalle sue responsabilità, benché lasci aperta «una serie di legittimi interrogativi» sulle «esitazioni e i toni» di papa Pacelli. Allo stesso modo viene esaltato il ruolo dei politici cristiani - come Adenauer in Germania, Bidault in Francia, De Gasperi in Italia - nellopporsi al comunismo avanzante nei rispettivi Paesi. Il saggio si diffonde anche sullo «straordinario eroismo degli uomini di Chiesa perseguitati in Ungheria e in Polonia che assicurarono la sopravvivenza di ristrette isole di società civile nella corruzione ambientale nelle tenebre del comunismo»: valga per tutti lesempio di Karol Wojtyla, prima di diventare Giovanni Paolo II.
Tutto vero, se non che andrebbe maggiormente sottolineato come quella resistenza cattolica, nellest e nellovest dellEuropa, non sarebbe stata vittoriosa e forse neanche possibile senza la religione della democrazia americana.
Dopo la sacralizzazione della politica, lEuropa ha assistito - e assiste - spesso alla politicizzazione della religione, dal lungo dominio democristiano in Italia all'interminabile guerra civile nellIrlanda del Nord. Il vero problema nuovo, però, è il radicalismo islamico, che investe tutta lEuropa e riceve risposte sempre diverse e nientaffatto omogenee. Si va «dalla politica di pacificazione praticata dai socialisti spagnoli - con il loro illusorio dialogo sulla comune cultura mediterranea con gente che crede che lAndalusia appartenga a una califfato redivivo - alla linea dura degli olandesi che minacciano di rendere obbligatorio lolandese e di bandire il burqa, una reazione comprensibile di fronte allassassinio del regista Theo van Gogh». Burleigh vede giusto quando scrive che in Europa si sta aprendo un baratro tra latteggiamento dei politici - attenti ai voti dei musulmani, alla loro forza-lavoro a basso costo, a astratti principi di accoglienza - e la gente comune, «non più disposta a tollerare allinfinito chi vuole sradicare lomosessualità, ridurre le donne a cittadine di seconda classe o chi incita apertamente allassassinio di un disegnatore di vignette danese, di politici olandesi, degli ebrei e degli israeliani, e cioè di tutti quei comportamenti che sono ammessi in Arabia Saudita o in Iran, ma che sono inammissibili in Europa».
Sorvolando sui guasti provocati dallintegralismo cristiano e cattolico nei secoli passati, Burleigh fa rilevare piuttosto quanto il cristianesimo abbia contribuito allaffermazione dei concetti di autonomia e libertà personale, nonché alla preservazione di un ambito indipendente dallo Stato che anticipava la stessa idea di società civile. Per questo si compiace - a ragione - che Benedetto XVI riguardo al mondo islamico sembri pronto «ad assumere alcune posizioni non negoziabili piuttosto che continuare a declamare le banalità di un multiculturalismo ormai discreditato esistente soltanto nelle università di sinistra e in alcune amministrazioni locali, nessuna delle quali è allavanguardia del pensiero europeo». Sembrano parole scritte su misura per il nostro ministro dellInterno Giuliano Amato, che proprio in questi giorni ha dichiarato: «Vietare il velo islamico vuol dire imporre unideologia imperialista occidentale». Non è per spirito imperialista che, per esempio, la Baviera ha proibito alle musulmane di coprirsi il volto e ripristinato l'obbligo del crocefisso nelle aule scolastiche: sono, anche per Burleigh, reazioni a una situazione di cui il radicalismo islamico è in larga parte responsabile.
Il fanatismo di alcune minoranze religiose ha messo in questione sia il liberalismo sia la teologia del multiculturalismo, perché l'idea liberale della parità dei diritti umani si scontra inevitabilmente con la violazione di quei diritti umani compiuta in nome di Allah.
E, se il nostro liberalismo non è riuscito a convincere grande parte del mondo musulmano della bontà dei propri assunti, non è per questo accettabile subire passivamente che in Europa si applichino, per rispetto di una religione, codici di comportamento illiberali.
Le conclusioni di Burleigh sono quando mai attuali nel dibattito di questi giorni.
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