Miriam DAmbrosio
Il colpo di fulmine risale a quattordici anni fa. Giorgio Gallione (regista e direttore artistico del Teatro Archivolto) si aggirava per la Feltrinelli di Genova, la sua città. Fu allora che tra le mani gli capitò Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac. Un bizzarro autore francese di professione insegnante di Letteratura, tanto vicino alle sue corde di amante di Queneau, Benni e Calvino.
Da allora il colpo di fulmine letterario è diventato una storia seria fino a concretizzarsi sul palcoscenico alla fine degli anni Novanta con Monsieur Malaussène. Protagonista Claudio Bisio che torna a interpretare Pennac con Grazie al Teatro Strehler.
«Questo è il primo testo teatrale scritto da Daniel Pennac, un autore che si sta sempre più contaminando con il teatro e che sta andando in scena con Grazie a Parigi proprio in questi giorni - dice Giorgio Gallione - è uno spettacolo giovane anche per noi. Abbiamo debuttato a Genova una settimana fa. Daniel ha dedicato il testo a Stefano Benni e ha immaginato la storia di un artista che viene premiato per la propria opera. Arriva il momento dei ringraziamenti e il suo pensiero espresso ad alta voce procede verso un percorso più intimo, diventando un minuetto».
E Bisio recita un ruolo, altro da sé, e in scena appare invecchiato con una parrucca bianca e arruffata. Il protagonista riceve un premio alla carriera, «ma non si sa neanche per cosa viene premiato - interviene lattore -, può essere uno scienziato, uno scrittore, un pittore, uno che riceve un Nobel o un banale premio di provincia. Qualche volta il pubblico risponde a domande retoriche che io pongo ma che non prevedono risposta. E allora scatta limprovvisazione, capita anche questo».
Grazie è un monologo compiuto, con didascalie per lattore. «Al primo approccio appare solo come un testo geometrico con un capo e una coda - spiega Gallione -, alla prima lettura sembrava quasi un esercizio di stile su tutti i possibili modi di dire Grazie. Poi diventa altro, molto di più. Cè il gusto del comico e del tragico, cè sempre nascita e morte in Pennac».
La scena (di Guido Fiorato) stilizza e rende astratta la situazione. Gallione voleva «radiografare questa cerimonia, la sua ambivalenza e le ipocrisie. Siamo dentro a un gabinetto di specchi - spiega -, cè una parte radiografica e una parte lirica data da un sipario che diventa tetto, cielo. È un testo diviso in capitoli numerati e la scenografia li segue in modo non didascalico».
In questa scansione per capitoli, la musica è presente con canzoni anni Quaranta e Sessanta, motivi che appartengono alla vita del personaggio.
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