Il Grifone scacci l’ansia da girone di ritorno

Il Grifone scacci l’ansia da girone di ritorno

Ci mancherebbe solo che il clan del Grifone, memore della fastidiosa esperienza vissuta la scorsa stagione, si consegnasse alla «sindrome del girone di ritorno». La superiorità del Genoa in questo campionato è dimostrata «per assurdo» e cioè poggia in termini matematici sulla debolezza degli avversari. Detto senza voler mancare di rispetto ad alcuno, non si può seriamente temere lo Spezia visto finora - e ultimamente a Pavia - e men che meno il Monza, il Padova, il Teramo. La squadra rossoblu non ha giocato bene in questo inizio di girone di ritorno, ma francamente non aveva fatto faville nemmeno all'andata. Pari col Pizzighettone, vittorie con Ravenna e Fermana, pareggi con Padova, Novara e Salernitana: tutto esattamente come all'andata.
In più, allora, ci fu solo la vittoria sul Pavia, il match la cui procrastinata rivincita non deve obiettivamente dettare soverchie preoccupazioni.
Forti della debolezza altrui, non resta che guardare avanti con serenità. Ben sapendo, sempre e soltanto in termini matematici, che prima o poi ci scapperà pure una sconfitta, che si dovrà accettare come un normale incidente di percorso in un contesto in cui la concorrenza rassicurantemente procede col freno a mano tirato.
Chiamato a gestire la nuova semirivoluzione di gennaio, Vavassori ha solo bisogno che lo si lasci lavorare in pace. Il tempo dovrebbe giocare a favore di Lopez, che di sicuro non è un brocco e ha il fisico giusto per favorire la causa comune; e dovrebbe giocare a favore di Mamede, che essendo tutt'altro che un brocco ha l'unica urgenza di sveltirsi, di ritrovare un passabile ritmo-gara. Peraltro, Vavassori non è né cieco né autolesionista: se nel giro di un paio di partite Mamede restasse quel che al momento è, non credo che il mister esiterebbe a impiegare Botta con Coppola e De Vezze, per irrobustire il reparto di mezzo che attualmente non garantisce polpa ed equilibrio alla squadra.
Piuttosto, dando praticamente per scontata la promozione in B, ribatto un chiodo che mi sta a cuore in chiave futura: vivamente mi auguro che stavolta si facciano talmente bene le cose in estate da non essere poi costretti ad operare la solita controproducente rivoluzione sul mercato di gennaio. Preziosi e i suoi più stretti collaboratori hanno ampiamente dimostrato di essere abilissimi scopritori di talenti, ma devono smetterla di operare con frenesia da grand hotel. Compatibilmente con i fronti sui quali si deve combattere, nel calcio alla lunga vince di più chi riesce a cambiare di meno.
E la Sampdoria? Tartassata da tutte le disgrazie del mondo, non esclusi propri errori di valutazione (organico inizialmente insufficiente per lottare con successo su tre fronti, e aggiustamenti mancati), è giunta alla prova del fuoco. Volato definitivamente via anche il 5° posto, se al termine dell'incombente poker di partite da «giudizio di Dio» (Juve, Inter, Palermo e Lazio) si trovasse nella posizione attuale potrebbe ancòra spuntarla, nei confronti di Livorno, Chievo, Lazio e Palermo, nella corsa al 6° posto. Se invece regredisse, anche di poco, dovrebbe rassegnarsi ad un deludentissimo 10°-11° posto conclusivo.
Intanto, come avevo facilmente pronosticato al presidente Garrone in tempi non sospetti, conoscendo i miei polli, il rutilante Consorzio Calcio Italia inizialmente formato da 14 Società repentinamente ristrettesi a 4 ha perso pure il Palermo del prode Zamparini e si è ridotto al trio Fiorentina-Sampdoria-Lecce (Della Valle, Garrone, Moroni). Beh, è solo questione di tempo e il gentiluomo Riccardo Garrone si ritroverà solo. Ma meglio così, meglio soli che male accompagnati. Garrone, ulteriormente ricco di specifica esperienza calcistica aggiuntiva, ha tutto per potersi efficacemente difendere in prima persona.

Gli valga a conforto ciò che sosteneva in proposito il suo non sprovveduto amico e predecessore Paolo Mantovani: «Le Società, per funzionare bene, devono essere costituite da un numero dispari di persone inferiore a tre».

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