nostro inviato a Lodi
Che Divo Gronchi, incappato nell«incidente di percorso» di una condanna penale e nella conseguente sospensione dallincarico di amministratore delegato della Banca popolare italiana, non venisse rimesso ieri al suo posto dallassemblea, era un dubbio che avevano in pochi. E infatti, alla fine di un lungo (e civile) dibattito e di una votazione-lampo (grazie ai dispositivi elettronici), egli è stato reintegrato nel ruolo ricoperto fino al 13 dicembre 2006 con 1.885 voti favorevoli e 719 contrari su 2.847 presenti (165 gli astenuti, 78 non hanno votato).
I dubbi erano stati fugati alla vigilia, quando il presidente dellistituto, Piero Giarda, aveva deciso di procedere a una votazione con scrutinio palese e non segreto. I dipendenti non favorevoli allamministratore delegato, soprattutto quelli lodigiani, hanno finito per disertare: i timori di ritorsioni sul lavoro, per quanto allontanati con fermezza dal presidente, hanno prevalso, e nellauditorium e nel cortile del palazzo sono mancati buona parte dei mille impiegati della sede centrale e i loro familiari, a vantaggio dei «supporter» toscani. Risultato viziato? No, secondo Giarda e il direttore generale Franco Baronio; sì, secondo molti piccoli azionisti presenti. Giarda ha difeso con molto equilibrio, prima durante e dopo lassemblea, la sua scelta per il voto palese, motivata con le norme dello statuto e con il parere di illustri giuristi («e poi quando è in gioco lonorabilità di una persona bisogna avere il coraggio di dirlo in faccia»).
Ma la battaglia non è mancata. E il risultato, con quel 30% circa di voti contrari, mostra che tra gli azionisti di malumore ce nè molto (un parallelismo improprio ma significativo è inevitabile: Cesare Geronzi, che a Capitalia si trovava nella stessa situazione, è stato reintegrato con il 9,7% dei voti contrari). In altre parole, il giudizio su Gronchi andava oltre il suo «repêchage»: ieri i soci hanno espresso un voto più ampio sulle strategie portate avanti dallamministratore delegato, e sul disegno che porterà a breve la Bpi a confluire, con la Banca popolare di Verona e Novara, nel Banco popolare, e a perdere, di fatto, la propria autonomia e la propria identità. I lodigiani non perdonano a Gronchi - se nè avuta conferma ieri - si averli «traditi». Lodi è una città agricola - ha detto un azionista - e per i contadini la parola è tutto.
Ma Gronchi prima ha chiesto ai soci 700 milioni di euro promettendo che laumento di capitale sarebbe servito a «finanziare» lautonomia, e cioè a stare da soli, poi ha avviato le trattative e ha «consegnato» la banca ai veneto-piemontesi.
Il fantasma di Gianpiero Fiorani ieri è apparso con molta discrezione e senza polemiche (nessuno ha ricordato, per esempio, che finora lo stesso Fiorani, a differenza di Gronchi, non ha subito alcuna condanna): ma il sogno della grande banca, dellespansione continua e di una Lodi capitale del credito è irrimediabilmente svanito. Il palazzo firmato da Renzo Piano è il simbolo di quella «grandeur», e che oggi pettegolezzi incontrollabili dicano che potrebbe trasformarsi in magazzino Ikea è una stilettata al cuore per ogni socio che si era illuso.
Il prossimo appuntamento è per il 10 marzo, quando gli azionisti saranno chiamati a esprimersi sulla fusione. La strada imboccata ha poche probabilità di essere interrotta, ma per tanta gente sarà un boccone amaro accettare che la sede centrale (e il baricentro) della nuova banca sarà a Verona, e non qui dove negli anni doro si ospitò il Forex, un palazzo così spettacolare che tuttora le più grandi grandi marche prendono a prestito per i loro spot televisivi. Laffollamento di ieri allassemblea è stato quasi un record, confermando sia lattaccamento alla banca che il braccio di ferro tra favorevoli e contrari a Gronchi.
Quindici pullman sono giunti dalla Toscana, la terra dellamministratore delegato, e lunghe file si sono formate agli ingressi, tanto che il presidente ha dovuto posticipare di oltre unora linizio dei lavori, durati poi tre ore e mezzo.
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