È guerra contro la Fiat, sciopero il 3 febbraio

Fiom, Fim, Fismic e Uilm, le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici, hanno indetto uno sciopero nel gruppo Fiat di 4 ore per il 3 febbraio. I sindacati protestano contro il piano di riorganizzazione della Fiat che prevede, tra l’altro, la chiusura dal 2012 dello stabilimento in Sicilia di Termini Imerese, decisione definita dall’amministratore delegato Sergio Marchionne, ancora a Detroit per l’Auto Show, «irrevocabile». «Le segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm e Fismic - si legge in una nota - hanno deciso di avviare la mobilitazione dei lavoratori di tutto il gruppo Fiat con una prima iniziativa nei confronti della stessa azienda e del governo allo scopo di rilanciare il settore automotive nel nostro Paese».
In serata il ministero dello Sviluppo economico ha diffuso un comunicato in cui si dice che il tavolo per Termini Imerese è stato convocato per il 29 gennaio. Il ministro Claudio Scajola si dice convinto che sarà possibile trovare una soluzione per far restare l’impianto Fiat nel settore dell’automotive, come richiesto dai sindacati. Il comunicato ricorda anche che «una task force tecnica, presieduta dal capo dipartimento impresa e internazionalizzazione Giuseppe Tripoli, sta lavorando in stretto raccordo con la Regione Siciliana, con il compito di analizzare la situazione dello stabilimento e valutare le diverse proposte di utilizzo del polo industriale, sulla base dei contatti che i dirigenti del ministero hanno avuto nelle settimane scorse con imprese e soggetti potenzialmente interessati. Nei prossimi giorni - si legge nella nota - la task force avrà incontri con la Fiat e con altre realtà imprenditoriali nazionali e straniere».
Scajola ha colto l’occasione per investire del problema anche l’Unione europea sollecitando il neocommissario all’Industria, l’italiano Antonio Tajani, a convocare una riunione sulla situazione generale del settore automobilistico. La politica degli incentivi e gli interventi di sostegno diretto alle imprese «che rischiano di distorcere la concorrenza del Mercato unico», sono i temi che Palazzo Chigi pone sul tavolo dell’Ue, proprio come più volte richiesto da Marchionne. A Detroit, intervenendo a un dibattito, il responsabile operativo della Fiat e della Chrysler è tornato proprio su quest’ultimo argomento, ribadendo che «a livello globale la nostra industria ha la capacità di produrre circa 94 milioni di auto l’anno, circa 30 milioni in più di quante se ne vendono». «Un terzo di questo eccesso di capacità - ha aggiunto - si trova in Europa, dove il settore automobilistico resta virtualmente l’unico a non aver ancora razionalizzato la produzione. L’Europa lo scorso anno ha utilizzato il 75% della propria capacità, un numero che potrebbe scendere al 65% quest’anno. La ragione è che i produttori europei semplicemente non chiudono gli impianti. E questo perché ricevono spesso fondi per non farlo. L’ultima volta che un impianto in Germania è stato chiuso la Seconda guerra mondiale doveva ancora iniziare». La premessa, in pratica, per definire «irreversibile» la decisione di dire addio alla produzione di auto nel Palermitano. Sulla fabbrica siciliana la tensione è altissima e Antonino Regazzi (Uilm) contesta le tesi di Marchionne: «Da noi si vendono più di due milioni di auto l’anno e abbiamo impianti che potrebbero produrre fino a 1,6 milioni di vetture, invece si fermano a 650mila. Quindi non si può parlare di capacità in eccesso».
Per Roberto Di Maulo (Fismic) al centro delle azioni sindacali «non c’è solo Termini, ma il fatto che il più importante gruppo industriale italiano va definendo fuori dai confini nazionali il baricentro del suo piano industriale senza comunicarlo al governo e ai sindacati».
Marchionne, intanto, va avanti per la sua strada.

Un passo indietro sulla questione Termini Imerese, per lui significherebbe infatti la perdita di credibilità, una resa che rifiuta a priori. E come accaduto per la put option con la Gm e nella trattativa con le banche del convertendo, anche in questo caso l’amministratore delegato della Fiat non pone una seconda condizione.

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