Guerra del gas, il Parlamento di Kiev sfiducia il premier

Grave crisi politica in Ucraina La «pasionaria» Timoshenko alla testa dei deputati ribelli

Roberto Fabbri

Sembrava tutto finito con il compromesso del 4 gennaio, ma la guerra del gas tra Ucraina e Russia rischia di ricominciare daccapo. E con questa le angosce di noi europei occidentali per le forniture dell’indispensabile metano. La sgradita novità arriva da Kiev, capitale dell’Ucraina. Qui i deputati della Rada, il Parlamento nazionale, hanno votato una clamorosa sconfessione del premier Yuri Yekhanurov, fedelissimo del presidente Viktor Yushcenko: lo hanno accusato di eccessiva arrendevolezza alle prepotenze dei russi, definendo «inaccettabile» quel contratto con Mosca che Yushcenko aveva invece entusiasticamente battezzato «un brillante compromesso».
Per chi segue le vicende di quella parte del mondo, la sconfessione di Yekhanurov non arriva inattesa. L’accordo sottoscritto con i russi di Gazprom una settimana fa (che prevede che Kiev paghi per i prossimi cinque anni in media quasi il doppio di quanto sborsava fino al 31 dicembre) aveva provocato nel mondo politico ucraino reazioni negative quasi unanimi. Ed è opportuno ricordare anche che il prossimo 26 marzo si terranno in quel Paese cruciali elezioni politiche, rese ancor più «calde» dall’addio al sistema presidenziale. Con il passaggio al parlamentarismo, il peso dei deputati cresce e così è possibile spiegare un più spiccato attivismo dei partiti politici.
In prima fila nelle manovre contro il governo, e non c’era dubbio al riguardo, l’appariscente e veemente ex premier Yulia Timoshenko, diventata celebre nel mondo ai tempi della «rivoluzione arancione» che un anno fa spazzò la nomenklatura filorussa e portò al potere l’amico dell’Occidente Viktor Yushcenko. Le vicende della politica hanno in seguito incrinato l’idillio tra i due, fino alla rottura dello scorso settembre, quando il presidente allontanò la pasionaria dalla poltrona di primo ministro sostituendola col più remissivo tecnocrate Yekhanurov. Ieri alla Duma - la Camera bassa del Parlamento di Kiev - la bella Yulia ha consumato la sua vendetta tuonando contro un contratto «contrario agli interessi nazionali, alle leggi e alle procedure in vigore» e trascinando 250 deputati su 405 presenti in aula a votare la sfiducia al capo del governo.
Yushcenko, che si trovava in Kazakistan per l’inaugurazione dell’ennesimo mandato presidenziale del padre-padrone Nursultan Nazarbaiev, l’ha presa molto male. Ha detto che il Parlamento di Kiev ha agito fuori dalla Costituzione e che il governo continuerà a lavorare. Lo stesso premier si è rifiutato di ascoltare i deputati che già lo consideravano esautorato e gli chiedevano di restare al suo posto per il solo disbrigo degli affari correnti e in vista della formazione di un nuovo governo, e ha reagito in sintonia col capo dello Stato: «Il Parlamento non ha il diritto di licenziare l’esecutivo - ha detto Yekhanurov -. Siamo completamente fuori dalla legge. La questione non andava neanche messa ai voti».
Sia come sia, è evidente che l’Ucraina è piombata in una seria crisi politica.

Yushcenko ha perso il controllo del Parlamento, che in teoria dovrebbe essere dalla sua parte, e le imminenti elezioni rischiano di trasformarsi in un disastro. Al Cremlino, intanto, Vladimir Putin gongola. Ma non è detto che a marzo gli orgogliosi ucraini non decidano di affidarsi a politici ancor meno disposti al compromesso con lo zar di Mosca.

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