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Quella "guerra" silenziosa che anima la Chiesa americana

La contesa tra progressisti e conservatori può essere raccontata, partendo dagli States, dov'è più evidente che mai. Le due strade della Chiesa occidentale

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Se esiste un luogo del mondo in cui la polarizzazione delle posizioni negli ambienti ecclesiastici è più lampante che altrove, quello è l'America settentrionale. La Chiesa americana è il paradigma della contesa dottrinale tra progressisti e conservatori. Prendiamo, ad esempio, la questione della omosessualità: per il cardinal Raymond Leo Burke esiste un'"agenda omosessuale", portata avanti da certi emisferi clericali e da combattere, ribadendo il cattolicesimo così com'è. Il gesuita James Martin, invece, è per costruire "ponti" con la comunità Lgbt, pure perché "i cattolici non hanno bisogno di essere diffidenti del “mese dell’orgoglio”". Con tanto di augurio inoltrato nell'estate 2019, che suona più o meno come un: "Buon Gay Pride". Sono visioni antistanti. Una delle due linee prima o poi prenderà il sopravvento. Altrimenti gli Stati Uniti continueranno a rappresentare l'immagine plastica di una dialettica esercitata su due lati di campo opposti.

Esiste un repertorio di temi spartiacque: dalla bioetica alle politiche di Donald Trump sull'immigrazione, passando dalle diverse risposte fornite per contrastare il dramma degli abusi e dalle distinzioni in materia di priorità pastorali. Il cardinale Raymond Leo Burke è originario del Wisconsin. Il MidWest, nel 2016, ha pensato che The Donald potesse rendere di nuovo grandi gli Usa. Anche la Pennsylvania di James Martin ha switchato in favore del tycoon, ma nel 2008 Barack Obama aveva vinto con quasi sei punti percentuali di distacco da Mitt Romney. La politica, in relazione a questo discorso, non ha troppa attinenza, ma la Chiesa conservatrice, per così dire, non può non apprezzare quanto fatto da Donald Trump in favore delle istanze care ai pro life. Persino l'aborto, che buona parte di mondo occidentale dà per assodato come diritto, è tornato ad essere "contendibile" in chiave giuridica. Le azioni intraprese nei confronti di Planned Parenthood possono essere lette a mo'di manuale: difficile individuare una strategia migliore per entrare nelle grazie dei militanti cattolici. E in America non sono pochi.

Non si tratta solo di calare dall'alto politiche federali. È la mentalità conservatrice-tradizionale ad essere uscita dal guscio mediante questa presidenza. Sono quattro gli Stati che, durante il mandato di Trump, hanno approvato disposizioni normative in grado di mettere in discussione, quasi ripartendo da capo rispetto alla cultura contemporanea, le pratiche abortive. Quando si è trattato di nominare un giudice, che in questo specifico caso sarebbe stato un difensore della famiglia e della vita umana sin dal suo concepimento, alla Corte Suprema degli Stati Uniti, i gesuiti della rivista America si sono distinti per oltranzismo: non volevano che Brett Kavanaugh si insediasse, perché la scelta operata dal leader Usa dopo l'emersione di accuse per molestie sessuali, era divenuta "una sorta di simbolo di come nel nostro Paese vengono trattate le donne quando denunciano molestie, aggressioni e abusi che minacciano di far deragliare le carriere di uomini potenti".

Non esistono troppi nessi politici - dicevamo - ma forse qualcuno sì. Sui migranti e sulla gestione dei fenomeni migratori, la Chiesa americana è stata chiara: così come funziona con il leader repubblicano non va. Il cardinal DiNardo ha tuonato a mezzo lettera. I vescovi si dicono spesso allarmati. Il Catholic day of action, quello che si è concluso con l'arresto di settanta persone, come riportato da Il Corriere della Sera, ha sancito anche l'inasprimento del cilma pre-elettorale. Donald Trump, nel 2020, non potrà contare su molte simpatie provenienti dalle alte gerarchie ecclesiastiche. E poi c'è l'opportunità di agevolare il ragionamento, riducendo l'analisi a quello che sostengono i tradizionalisti: vi abbiamo già parlato di "cerchio magico progressista", citando i vari Tobin, Farrell, Cupich e Wuerl. Sono tutti cardinali, ma nessuno di loro, stando a quello che si apprende, può essere definito un trumpista. Non sappiamo quanto questa bagarre possa incidere sulle elezioni dell'anno prossimo.

Di sicuro c'è che l'America racconta molto di come la Chiesa cattolica occidentale abbia dinanzi a sé due strade apparentemente incompatibili.

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