La chiamata alle armi dell’Europa

Intervista a Ciro Sbailò, preside della facoltà di Scienza politiche dell’Università degli studi internazionali di Roma e autore del libro La chiamata alle armi dell’Europa

La chiamata alle armi dell’Europa

La chiamata alle armi dell’Europa è il titolo, senza peli sulla lingua, dell’evoluzione di un libro di testo di Ciro Sbailò, preside della facoltà di Scienza politiche dell’Università degli studi internazionali di Roma. Il volume in inglese affronta temi forti e d’attualità, come il futuro e la tenuta dell’Europa, le minacce dei regimi autoritari e il dilemma dell’Occidente alle prese con la crisi della democrazia. “Europe’s call to arms” verrà presentato e discusso il 23 giugno all’Università degli studi Roma tre (in streaming linktr.ee/edromatre). L’autore, che dirige il Corso di laurea magistrale in investigazione, criminalità e sicurezza internazionale, spiega alcuni contenuti cardine del libro.

Nel sottotitolo del libro si legge “che il mostro del XXI secolo è la occidentalizzazione senza democratizzazione”. Un pericolo reale?

“Le democrazie sono vincolate dai principi dello stato di diritto e dal diritto umanitario, che le rendono oggettivamente esposte a poteri e gruppi senza scrupoli. Un altro gap è registrato dai politologi tra il processo di occidentalizzazione e quello di democratizzazione. Se da un lato registriamo una sempre maggiore diffusione degli stili di vita e della cultura occidentali (intese in senso lato, con particolare riferimento alla scienza, alla tecnologia e al ruolo svolto dai media nella vita pubblica e privata), dall'altro abbiamo una democrazia globale in recessione, caratterizzata, tra l'altro, dall'affermazione di tendenze politico-istituzionali autoritarie anche in Paesi di recente transizione verso la democrazia”.

L’Europa come dovrebbe reagire?

“Il suddetto intreccio di tendenze va letto anche in un contesto geopolitico caratterizzato da un crescente e comprensibile impegno di Stati Uniti e Nato nel quadrante dell'Estremo Oriente. Tutti questi fattori militano a favore di una crescita dell'impegno per la costruzione di una difesa comune europea, che sistemi le risorse scientifiche, tecnologiche, industriali e culturali disseminate nello spazio pubblico europeo, ma ancora largamente perimetrale all'interno degli spazi nazionali”.

La chiamata alle armi dell’Europa

L’Occidente è sul viale del tramonto?

“Nel primo capitolo del libro dedico uno spazio particolare alla puntuale decostruzione della tesi del “tramonto dell’Occidente”, oggi ampiamente utilizzata nelle strategie geopolitiche. Tra l’altro, si rileva, come la “criticità” sia un tratto originario del diritto occidentale e come molte delle critiche “globali” all’Occidente cadano in contraddizione giacché esse stesse si muovono all’interno di un orizzonte di pensiero occidentale”.

Lei lancia un appello fuori dal coro ai suoi colleghi. Di cosa si tratta?

“Nel libro viene proposta una lunga riflessione sulle radici della cultura giuridica europea e una rilettura di alcuni classici, in particolare di Hans Kelsen (giurista e filosofo austriaco del ‘900 nda) . La considero una necessaria base teoretica della “proposta di lavoro” alla comunità dei giuspubblicisti: quando le fondamenta sono scosse, occorre calarsi nel sottosuolo dell’edificio, per verificarne la tenuta”.

Invasione dell’Ucraina, sfida cinese, si sta passando dalle parole ai fatti o meglio alla guerra?

“Nel terzo capitolo illustro le sfide geopolitiche contemporanee, che emergono, in particolar modo, grazie al ripresentarsi di alcuni schemi intrappolati nei ghiacciai della Guerra fredda e successivamente assorbiti nel presunto unipolarismo occidentale. Questi schemi ispirano oggi alcune ideologie – tra le quali troviamo quella pan-slavista di Putin, quella dell’espansionismo cinese e quella dell’alternativa islamica – che sembrano “sfidare” l’Occidente. Quest’ultimo, però, si sta dimostrando resiliente, nonostante il crescente divario esistente tra occidentalizzazione e democratizzazione. Di tale divario rischiano di restare, invece, vittima in primo luogo, i regimi autoritari, i quali sono aperti a derive entropiche suscettibili di comprometterne la tenuta. Come ha dimostrato la Primavera araba (si pensi all’esplosione dei flussi migratori), il collasso incontrollato dei regimi autoritari può avere effetti gravi, sotto il profilo sociale ed economico, non solo per le popolazioni interessate, ma anche per l’Europa. La gestione della deriva entropica dei regimi confinanti impone, tra le altre cose, un potenziamento militare dell’Europa, all’insegna della razionalizzazione”.

L’obiettivo dell’esercito comune europeo non le sembra ancora troppo lontano?

“Non si esclude la possibilità, almeno in una prima fase, che un embrione di difesa europea possa costituirsi a partire da partnership bilaterali (quali, ad esempio, il Trattato di Aquisgrana e quello del Quirinale).

Inoltre, in questo contesto, emerge l’importanza dell’integrazione dei progetti industriali degli Stati membri, necessaria per evitare inutili duplicazioni e mettere a frutto risorse e competenze dei singoli Paesi membri. Passi necessari, direi indispensabili, per assicurare stabilità e difendere i valori e gli interessi europei”.

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