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Il destino di Kiev e la questione dei tre modelli

È probabile che, se prevalessero le tesi europee (e di Rubio) con la nuova stesura americano-ucraina del famoso "paper", Putin non firmerebbe alcuna pace

Il destino di Kiev e la questione dei tre modelli

Il destino dell'Ucraina segnerà il futuro del mondo. Ecco perché è così difficile trovare il giusto compromesso che permetta di siglare la pace. Intorno al nostro futuro, infatti, si confrontano tre «modelli» geopolitici assolutamente distanti tra loro. Il primo è quello di Putin. Lo zar crede nella volontà di potenza degli Imperi e degli Stati. Prova a immaginarsi protagonista di una gloriosa storia secolare che da Pietro il grande conduce a Stalin e infine a lui. Quando, con un pizzico di imprevedibile ingenuità, Trump dichiara di non capire «perché debbano morire tanti giovani», la risposta è purtroppo semplice: da che mondo è mondo, la «volontà di potenza» non si è mai fatta scrupolo di far ricorso a stragi e massacri pur di raggiungere i propri obiettivi. E quello di Putin è costruire una «nuova grande Russia», per la quale ha bisogno di conquistare l'Ucraina (non solo qualche territorio) e, in ogni caso, di imporle una «sovranità limitata». Perciò quella di Ucraina è stata definita l'ultima guerra del Novecento: perché Putin ha bisogno di vincere per ridimensionare, ora e in futuro, l'odiata Europa.

Il secondo «modello» è quello rappresentato da Trump. La sua idea di ordine mondiale è incentrata sugli affari, sui commerci, sulle strategie finanziarie. Ogni questione, dalla guerra alla gestione dei migranti, è letta all'interno di modelli puramente utilitaristici. Ciò che conta sono i vantaggi economici e il consolidamento del proprio potere. Se insiste nel disegnarsi come «grande mediatore» è unicamente perché ha promesso agli americani di far finire la guerra che con lui «non sarebbe mai cominciata» e perché vuole sottrarre Mosca all'esclusiva egemonia di Pechino.

Il terzo «modello» in campo è quello sposato dall'Unione europea, assai spesso in sintonia con la leadership ucraina. È un modello che continua a credere nella superiorità del «soft power» e nel multilateralismo democratico. Un modello che si rifiuta di pensare ad un ordine mondiale orfano dei concetti di libertà, di sovranità delle nazioni e dell'inviolabilità dei confini. In una parola delle regole del diritto internazionale. C'è da dire che, nonostante vada di gran moda parlare male dell'Ue, essa ha coerentemente e unitariamente difeso i propri principii. Di più: i governi dei suoi principali Paesi (incluso il Regno unito) hanno mostrato di essere molto più «avanti» delle proprie opinioni pubbliche, spesso e volentieri attraversate da pulsioni «neutraliste» se non filorusse, finendo per confondere il benedetto traguardo della pace con quello, ben più prosaico, di «essere lasciati in pace».

Ecco allora la questione-chiave dei «negoziati» sull'Ucraina: è assai impervio raggiungere una qualsivoglia mediazione perseguendo tre modelli geopolitici del tutto alternativi. Un esempio: sembra quasi che Putin, coltivando il rapporto con Trump, voglia tornare agli schemi della guerra fredda, quando Mosca poteva invadere Praga perché l'Europa e l'intero globo erano divisi tra due potenze rivali che si spartivano le «sfere d'influenza». Ma non siamo più nel 1968: perciò il suo è un progetto pericoloso per la sicurezza dell'intera Europa. D'altro canto agli Stati Uniti, da Obama a Trump, importa sempre meno dell'Europa, non ritenendola più parte della propria «sfera d'influenza».

E così il cerchio si chiude, riproponendo l'incomunicabilità dei tre «modelli». All'interno dei quali però emerge un curioso gioco di specchi. Putin cerca di tenersi il più stretta possibile l'evidente empatia di Trump. Parallelamente i più intelligenti leader dell'Ue, con Zelensky, cercano di lasciare aperto il dialogo transatlantico, facendo di tutto per convincere Trump a non indebolire l'unità dell'Occidente. Un'operazione che può contare anche sulla presenza, nell'amministrazione americana. di due «linee»: una «più europea» rappresentata da Marco Rubio e una «più antieuropea» incarnata da J.D. Vance.

È probabile che, se prevalessero le tesi europee (e di Rubio) con la nuova stesura americano-ucraina del famoso «paper», Putin non firmerebbe alcuna pace.

Ma se, viceversa, il documento americano non venisse modificato, sarebbe l'Ucraina a non accettare una pace così tanto simile a una resa. È bene rendersene conto: stiamo vivendo un tornante decisivo della storia. Perché dal confronto-scontro tra questi tre modelli dipende il futuro del mondo.

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