Disarmo, esilio dei leader, governo della Striscia. Tutti i nodi del dopoguerra

Per Israele i responsabili del 7 ottobre non possono avere alcun ruolo in futuro

Disarmo, esilio dei leader, governo della Striscia. Tutti i nodi del dopoguerra
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Pace (im)possibile a Gaza? Hamas ha praticamente ufficializzato il sì alla tregua mediata da Qatar, Egitto e dall’inviato americano, Steve Witkoff, con Israele.
Gli ostaggi, vivi e morti, verranno scambiati con prigionieri palestinesi, ma il vero nodo da sciogliere, che potrebbe rendere la pace impossibile, è il futuro del gruppo armato nella Striscia.

Gli ostaggi israeliani a Gaza sono ancora 58, ma 35 già dichiarati morti. Il rilascio dovrebbe avvenire in due fasi: metà dei vivi e dei corpi all’inizio della tregua ed i rimanenti alla fine del cessate il fuoco che durerà 60-70 giorni. Questa era la proposta Witkoff dopo la fine della guerra dei 12 giorni con l’Iran. Tempi e modi potrebbero essere cambiati, ma di poco. L’ultima parola dipende dal nuovo capo militare di Hamas nella Striscia, Izz al-Din al-Haddad, noto anche come Abu Suheib, successore di Mohammed Sinwar ucciso dagli israeliani. Il nuovo leader ha partecipato alla pianificazione del 7 ottobre con il fratello maggiore di Sinwar e comandava la brigata di Hamas a Gaza city. Secondo un ex ufficiale dell’intelligence israeliana «ha le stese linee rosse dei predecessori».
Ovvero rilascio degli ostaggi in cambio della fine delle ostilità, ma in realtà l’accordo prevede che nei due mesi di tregua bisognerà affrontare i temi più spinosi come il controllo di Gaza, per arrivare alla pace. I vertici di Hamas a Doha, come Khaled Mashal, avrebbero già accettato il piano.

Il primo punto, dopo gli ostaggi, riguarda le armi del gruppo terroristico. Israele vuole un disarmo totale, ma Hamas punta a mantenere il controllo delle forze di ordine pubblico come la polizia.
Il secondo punto è l’esilio dei capi di Hamas nella Striscia, che dovrebbe essere temporaneo. In parallelo diversi Paesi accetterebbero di accogliere i palestinesi che vogliono andarsene in maniera volontaria. Il vero nodo da sciogliere sarà il governo di Gaza. Per Israele i responsabili del 7 ottobre non possono avere alcun ruolo di potere nel futuro dell’enclave, ma Hamas non vuole mollare del tutto. L’accordo finale dovrebbe prevedere anche il ritiro dell’esercito israeliano, che potrebbe venire sostituito da un contingente arabo composto da giordani, egiziani e altri paesi, compresa l’Italia. Una missione di stabilizzazione, pericolosa e delicata, che aprirebbe la strada alla ricostruzione della Striscia.

Stephen Cook, su Foreign Policy, osserva che «la maggior parte dei leader di Hamas a Gaza è morta, i pochi rimasti hanno scarse risorse e affrontano l’opposizione crescente di una popolazione indignata». Per questo i resti del gruppo armato potrebbero accettare l’accordo cercando di piegarlo, in seguito, ai loro obiettivi.

Ieri il reverendo Johnnie Moore, presidente della Gaza Humanitarian Foundation, responsabile della distribuzione degli aiuti, denunciava che «Hamas ha intenzionalmente ucciso e ferito civili nella Striscia con l’obiettivo di attribuire queste morti a noi per fare pressione su organizzazioni internazionali e screditarci».

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani afferma che a Gaza sono state registrate 613 vittime, 509 presso i punti gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation e il resto vicino ai convogli umanitari gestiti da altri gruppi di soccorso. Se fossero confermati i numeri e risultasse vero che Hamas ha ucciso parte di questi palestinesi figuriamoci cosa farebbero per rendere la pace a Gaza (im)possibile.

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