
In un Israele attraversato da venti di guerra e tensioni interne, il primo ministro Benjamin Netanyahu si trova al centro di una sfida che non si gioca solo sui confini della Striscia di Gaza, ma nelle stanze più segrete del potere. Generali, capi dell’intelligence abituati a colpire lontano e giudici determinati a custodire l’equilibrio del Paese osservano con attenzione ogni sua mossa. È uno scontro silenzioso ma profondo, dove ambizioni politiche e visioni opposte del futuro dello Stato ebraico si intrecciano, mentre sullo sfondo il conflitto con Hamas e l’incertezza internazionale scandiscono il tempo delle decisioni più difficili.
Nei ranghi dell’IDF ci sono comandanti temprati in decenni di conflitti, duri sul campo ma non allineati ai progetti del premier e degli alleati ultranazionalisti. Ai vertici dei servizi segreti, uomini capaci di colpire i nemici di Israele ovunque, ma allarmati dall’accentramento di poteri nelle mani del capo del governo. Nelle aule di giustizia, giudici determinati a difendere il carattere democratico e laico dello Stato, e a cercare un equilibrio possibile con i vicini arabi.
L’attuale scontro politico affonda le radici nell’idea di “Grande Israele” che Netanyahu coltiva sin dagli esordi. Già nel 1996, quando sorprese Shimon Peres vincendo le elezioni, il suo slogan era “Dal fiume al mare”, formula che include tutti i territori occupati. Con l’appoggio di Donald Trump, oggi il premier vede a portata di mano l’annessione, totale o parziale, di Cisgiordania e Gaza.
Il principale avversario interno è il capo di stato maggiore, generale Eyal Zamir, alla guida dell’IDF dal marzo scorso. Veterano delle operazioni a Jenin nel 2002, Zamir non contesta la guerra a Hamas né la liberazione degli ostaggi, ma dubita della fattibilità di un’occupazione duratura di Gaza. Contrario anche al progetto del ministro della Difesa Israel Katz di creare a Rafah una “città umanitaria” per concentrare gran parte della popolazione dell’enclave, l’ha bollata come “irrealizzabile” e preludio a un’espulsione di massa, obiettivo dichiarato dai leader ultrà Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. Katz, tuttavia, ha preso in queste ore le difese di Zamir, accusato dal figlio del premier israeliano, Yair Netanyahu di essere dietro una "ribellione e un tentato colpo di stato militare".
Zamir seguita a mettere in guardia contro le conseguenze di un'occupazione completa della Striscia di Gaza. "L'operazione metterà seriamente in pericolo la vita degli ostaggi e causerà un logoramento significativo alle forze armate", ha dichiarato, chiarendo che supporta "l'approccio basato sull'accerchiamento e raid mirati da posizioni di controllo per logorare Hamas, ma si oppone a un'occupazione totale che includerebbe anche aree dove si trovano ostaggi". Il Generale ha aggiunto che "un'operazione del genere potrebbe durare mesi, aggravando la pressione sull'esercito regolare e sulle riserve".
Resistenze arrivano anche dallo Shin Bet. Il direttore Ronen Bar, già sotto pressione per non aver previsto l’attacco del 7 ottobre, ha denunciato in Corte suprema un incarico segreto del premier per indagare sui cittadini che protestavano contro la riforma giudiziaria. Netanyahu lo ha definito “bugiardo” e licenziato, ma la Corte ha sospeso il provvedimento. Stessa sorte per la procuratrice generale Gali Baharav‑Miara, prima donna a ricoprire il ruolo, figlia di un eroe del Palmach e ferma oppositrice alla riforma giudiziaria. Anche lei è stata rimossa e poi reintegrata dai giudici, che hanno respinto le accuse di “golpe giudiziario” mosse dal governo.
Il presidente della Corte suprema, Isaac Amit, in carica da pochi mesi, si trova ora a gestire la più grave crisi istituzionale della storia israeliana. Per l’esecutivo, la sua nomina è “illegittima” e il ministro della Giustizia Yariv Levin ne ha ordinato il boicottaggio. Amit dovrà pronunciarsi sulla riforma che mira a limitare l’autonomia della magistratura, nodo centrale della battaglia interna a Netanyahu.
Il premier, deciso a “spianare tutto” sia sul fronte interno che a Gaza, deve fronteggiare pure le defezioni nella coalizione.
Ha già perso il sostegno del leader di United Torah Judaism, Yitzhak Goldknopf, e il partito Shas minaccia di uscire. La frattura riguarda l’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshiva: la destra religiosa ora si spacca tra chi vuole solo studiare la Torah e chi ambisce a combattere.