Droni, missili ipersonici, sistemi di sorveglianza elettronica, gingilli hi-tech commerciali trasformati in armi dai terroristi... Si riflette sempre sul lato ipertecnologico dei conflitti, simmetrici o asimmetrici che siano. Poi la guerra “vera” riporta in primo piano il più vecchio degli strumenti del conflitto: l’assedio. Proprio come quello che sta andando in scena a Gaza e rischia di trasformarsi, oltre che in un disastro umanitario, nella miccia che può incendiare tutto il Medio oriente. Del ritorno dell’assedio abbiamo parlato con Marco Mondini che insegna History of conflicts e Storia contemporanea; tra qualche mese pubblicherà Il ritorno della guerra con Il Mulino, casa editrice per cui ha pubblicato tra gli altri titoli La guerra italiana e Tutti giovani sui vent’anni.
Professor Mondini l’assedio di Gaza ha fatto tornare a parlare di una modalità di guerra antichissima. Mentre sino a poco fa parlavamo di missili ipersonici... «L’assedio non è mai sparito dalle guerre. Dal punto di vista delle persone questo può sembrare un balzo all’indietro. Negli ultimi anni sono circolati anche lavori teorici, potrei ricordareWaging War Without Warriors? TheChanging Culture of Military Conflict di Christopher Coker, che preconizzavano la guerra confinata in uno scontro tra macchine, al massimo allargato a reparti militari super professionalizzati. Questo avrebbe evitato scontri di massa e una componente tipica della guerra, ovvero le battaglie urbane. Che partono spesso con un assedio e poi finiscono in un conflitto casa per casa».
E invece nella pratica?
«Nella pratica abbiamo avuto l’assedio di Sarajevo, l’assedio di Kobane, gli scontri casa per casa nelle città ucraine e adesso i kibbutz invasi e ora la morsa attorno a Gaza. Era un assunto totalmente ottimistico e nato in un Occidente che, secondo me, nella sua demilitarizzazione culturale non voleva vedere il lato più brutale dei conflitti. Le guerre ossidionali e di trincea sono rimaste. Ora riapriamo gli occhi...».
C’è una componente psicologica in tutte le guerre. Ma l’assedio crea una situazione molto particolare.
«Il ricorso allo strangolamento delle forniture che vediamo è l’assenza di ogni assedio. L’assalto all’area urbana è una delle cose più tremende e dispendiose che un esercito possa dover affrontare. Ogni casa è una potenziale trappola. La prima strategia è indebolire il nemico. Non sono nella testa degli ufficiali superiori israeliani ma ovviamente sanno a cosa vanno incontro. Qui si intreccia una situazione a metà tra l’assedio di Leningrado e una prospettiva simile alla battaglia urbana di Stalingrado...».
In questo caso c’è anche la questione dei civili.
«Negli assedi moderni c’è una grande questione mediatica. Ovviamente Israele deve abbassare al massimo il numero dei danni collaterali. Sarebbe un terribile boomerang per un Paese che in questo momento, visto la spietatezza dell’attacco di Hamas, gode di un buon appoggio internazionale. Ovviamente ad Hamas fa assolutamente comodo il contrario...».
Conta quasi più questo versante che quello che accade sul terreno... «Guardiamo il caso di Mariupol’: la resistenza, soprattutto nella fase finale, non aveva un reale impatto militare. Ma aveva un enorme significato per il morale degli Ucraini. Negli assedi moderni, le battaglie urbane degli ultimi 15 anni sono sempre uscite dall’ambito operativo per entrare in quello psicologico».
D’altronde anche l’attacco di Hamas aveva più quella finalità che quella operativa...
«Infatti mi verrebbe da paragonarlo più all’offensiva del Têt durante la guerra del Vietnam che all’attacco alle Torri gemelle come hanno fatto molti.
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