Ci riprova, Donald Trump. Stavolta con una richiesta scritta che alimenta le critiche per essere diventato il Bibi-sitter, cioè la tata del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, detto Bibi, trasformando l'alleanza con Israele in interferenza o in uno scambio di favori: pace in cambio della salvezza giudiziaria. A un mese dal discorso alla Knesset, in cui il presidente americano si era già preso la briga di chiedere la grazia per Netanyahu mentre celebrava il cessate il fuoco a Gaza, il tycoon torna a perorare la causa a favore del leader amico, sotto processo in Israele per corruzione, frode e abuso di potere. Trump fa con una lettera indirizzata al capo dello Stato israeliano, Isaac Herzog, in cui definisce Bibi «un formidabile e decisivo primo ministro in tempi di guerra» e le accuse contro di lui «politiche e ingiustificate». Dopo aver citato il successo dell'accordo di pace, il presidente americano spiega che «è giunto il momento di lasciare che Bibi unisca Israele, perdonandolo e ponendo fine a questa guerra legale una volta per tutte».
A dare man forte alla causa pro-Netanyahu si precipita il ministro dell'ultradestra religiosa Itamar Ben Gvir, che invita il presidente Herzog ad ascoltare Trump e parla di «vergognose incriminazioni», accusando la Procura di «negligenza ed errori» e rendendo evidente il braccio di ferro ancora in corso fra potere politico e giudiziario, questione che ha preceduto il massacro del 7 ottobre e ha provocato imponenti manifestazioni di piazza contro l'esecutivo ben prima del 2023.
Misurato nei toni ma chiaro sulle norme, il capo dello Stato dice la sua. In una nota sottolinea il «grande rispetto» per il leader statunitense, il suo apprezzamento per il sostegno a Israele e i traguardi raggiunti, ma poi spiega di aver chiarito in più occasioni che «chiunque chieda la grazia deve presentare una richiesta formale secondo le procedure stabilite». E le procedure prevedono che il capo dello Stato abbia il potere di concederla a coloro che sono stati già condannati e, in rarissime occasioni, anche prima della conclusione del procedimento giudiziario, se ritenuto nell'interesse pubblico. Ma a chiederla deve essere l'imputato o un familiare stretto. Finora nessuno lo ha fatto, ma Channel 13 ha riferito che nell'ufficio del primo ministro sarebbero in corso discussioni perché a farsi avanti sia la moglie di Netantahy, Sara.
Anche uno dei leader dell'opposizione, Yair Lapid, ricorda a Trump e al premier come «la legge israeliana stabilisca che la prima condizione per ricevere la grazia è l'ammissione di colpa e l'espressione di rimorso per le proprie azioni».
Nel frattempo, diventa oggetto di nuove accuse contro il governo e il suo tentativo di mettere il bavaglio all'informazione la decisione del ministro della Difesa, Israel Katz, la radio dell'esercito israeliano, Galatz, a partire da marzo 2026 a causa delle proteste - sostiene il ministro - secondo cui l'emittente «danneggia lo sforzo bellico e il morale». «È stata fondata dal governo come stazione militare per dare voce e ascolto ai soldati dell'Idf e alle loro famiglie - spiega Katz - non come piattaforma per esprimere opinioni, molte delle quali attaccano l'esercito e i suoi soldati». La decisione scatena la reazione dell'Unione dei giornalisti, che promette: «Ci opporremo a questa folle decisione finché non verrà cancellata. La radio non sarà chiusa».
Nuove tensioni emergono su Gaza, nonostante ieri sia stato riaperto il valico di Zikim, a Nord, per l'ingresso degli aiuti.
Cresce la preoccupazione per l'attuazione del piano di pace, tanto che si moltiplicano le voci sulla preparazione di un piano B di emergenza a cui starebbero lavorando separatamente l'inviato Usa Kushner e le Forze armate israeliane se il piano A di Trump trovasse ulteriori ostacoli, dal disarmo di Hamas alla formazione della Forza di Stabilizzazione internazionale.