
L'attacco americano della notte scorsa ha definitivamente neutralizzato i siti nucleari iraniani, obiettivo della iniziativa militare israeliana avviata il 13 giugno scorso. Potrebbe dirsi che l'obiettivo è raggiunto e ora la guerra non ha più alcuna ragion d'essere. Si passi dunque subito, senza esitare, a una trattativa che sancisca la pace.
Il salto di qualità compiuto dall'Iran supportando e finanziando un attacco senza precedenti come quello del 7 ottobre rendeva assolutamente necessaria una risposta adeguata da parte israeliana. E l'obiettivo non poteva che essere quello di neutralizzare in modo definitivo ogni minaccia alla esistenza dello Stato di Israele e alla sicurezza degli ebrei, la cui distruzione è sempre stato lo scopo dichiarato del regime teocratico iraniano. Le azioni militari portate avanti da Israele nei mesi scorsi su più fronti sono state propedeutiche a quella iniziata la notte del 13 giugno su Teheran. E quest'ultima se ha certamente indebolito la leadership politico-religiosa e militare del regime era però principalmente orientata a fermare i progetti iraniani di arricchimento dell'uranio e il suo possibile uso militare. Il recente rapporto Aiea confermava del resto il raggiungimento da parte dell'Iran di uno stock di uranio arricchito che in tre settimane avrebbe potuto essere convertito in un quantitativo sufficiente a realizzare nove ordigni nucleari. E se non ci sono prove che fossero disponibili anche gli «involucri» necessari a innescare gli ordigni era inimmaginabile, tanto più dopo il 7 ottobre, che Israele potesse sopportare un simile rischio. Con gli attacchi effettuati dal tredici giugno a oggi Israele è riuscito a eliminare diversi alti funzionari iraniani, tra cui il capo di Stato maggiore delle Forze Armate, il comandante delle Guardie rivoluzionarie e 14 scienziati nucleari impegnati nel programma di arricchimento dell'uranio e di preparazione della bomba atomica. Ha quindi colpito due dei tre siti nucleari esistenti, quello di Natanz e quello di Isfahan, oltre ad alcuni tra le migliaia di impianti di produzione di centrifughe distribuiti sul territorio iraniano. Azioni che hanno realizzato dal punto di vista militare risultati oltre i quali era impossibile andare con i mezzi a disposizione. Non si poteva ad esempio colpire il terzo sito di Fordow perché situato molti metri sotto terra, in una caverna. È quindi intervenuta l'iniziativa americana che con le bombe bunker buster, ha attaccato e definitivamente neutralizzato i tre siti nucleari. A quanto pare senza danni collaterali, né umani né ambientali. Certo era auspicabile raggiungere con un accordo questo obiettivo ma non è stato evidentemente possibile.
E a proposito di accordi si fa spesso riferimento a quello del 2015 firmato anche da Usa e Russia per limitare il programma nucleare iraniano al solo uso civile. Recedere da quell'accordo fu sicuramente un errore perché si consegnò di fatto alla Russia il controllo della situazione. Ma un supplemento di riflessione sui limiti di quella intesa, per le modalità con cui fu raggiunta e i contenuti, sarebbe quanto mai opportuno. In primo luogo perché, come i fatti hanno dimostrato, non forniva sufficienti garanzie di rispetto da parte iraniana ma stava anche producendo negative conseguenze geopolitiche in tutta l'area mediorientale alle quali si rimediò poi con gli Accordi di Abramo. Ma su questo sarà il caso di tornare a parlarne con dovizia di argomenti. Oggi il tema è fermare la guerra essendo venute meno le ragioni di fondo che l'hanno innescata. Sarebbe un grave errore continuare gli attacchi con l'intento magari di imporre il «regime change». Certamente l'offensiva militare israeliana indebolendo il regime ne ha di fatto implicitamente favorito un cambio creando condizioni favorevoli a che ciò avvenga. Ma guai illudersi sulla possibilità di «esportare la democrazia» con la forza. Sarebbe una coazione a ripetere e un errore fatale tanto più in una realtà con le dimensioni, le caratteristiche e la storia dell'Iran.
Paese dotato di una società civile che ha ampiamente e coraggiosamente dimostrato di voler essere esclusiva protagonista di una battaglia di liberazione dalla oppressione teocratica del regime. Certo, potendo contare sulla solidarietà politica dell'Occidente. La diplomazia internazionale si adoperi dunque perché ora la parola dalle armi passi agli iraniani.