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La narrazione a senso unico

Da ieri la vita di ogni abitante di Gaza non dipende più da Tel Aviv ma da Hamas

La narrazione a senso unico

L'accordo di pace proposto da Trump pone una grande «questione esistenziale» al movimento che ha invaso le piazze del mondo chiedendo ad Israele la fine dell'«operazione Gaza». Condiviso da Netanyahu, dal Qatar e da altri Paesi arabi, all'accordo infatti manca solo il sì di Hamas: di conseguenza se, fino a ieri, era sacrosanta ogni protesta verso Israele perché interrompesse bombardamenti e massacri, oggi la massima pressione va indirizzata alla fazione palestinese. Da ieri la vita di ogni abitante di Gaza non dipende più da Tel Aviv ma da Hamas. Ecco allora il punto: se credono davvero nella pace, Landini, Schlein, Conte e tutti i soggetti mobilitati a «difesa dell'umanità», dovrebbero tornare tempestivamente in piazza con un solo grande striscione: «Hamas, firma!». Sarebbe il caso. Ma è lecito dubitare che ciò accada. Anche perché qualche sofista di professione già obietta: ma Netanyahu insiste a non volere uno Stato palestinese. È vero. Ma è anche vero che Trump lo ha invece indicato come l'obiettivo finale (punto 19 dell'accordo) e soprattutto che, con una leadership dell'accordo forte della contemporanea presenza di Usa e Paesi arabi, un «nuovo Stato» palestinese sarebbe un esito inevitabile. Inoltre, diciamo la verità: l'obiettivo del massacro del 7 ottobre non era certo lo Stato palestinese! Altrimenti Hamas avrebbe governato Gaza in ben altro modo. In realtà voleva e vuole solo, come recita il suo Statuto, distruggere gli ebrei. Anche per questo, nell'orizzonte di uno Stato palestinese, una «questione esistenziale» si pone anche per l'Anp di Abu Mazen, che deve ora riformare se stessa per mostrarsi all'altezza della leadership che la Storia gli assegna, e partecipare da protagonista al processo di pace. Del resto, appare abbastanza evidente come Trump abbia imposto una «questione esistenziale» anche a Netanyahu. La strategia della «distruzione di Hamas» era un obiettivo certo comprensibile, ma militarmente realistico solo al costo di infinite stragi. Con l'accordo proposto, il presidente americano gli indica invece l'obiettivo davvero vincente: l'«isolamento di Hamas». Come dire: Bibi, torna a fare politica. Dal canto loro anche i Paesi arabi devono saper rovesciare lo schema fin qui seguito e distinguere i destini di Hamas da quelli della patria palestinese e della convivenza pacifica nell'area. Solo così il Medio Oriente potrà fare un enorme passo in avanti. Intendiamoci: ogni processo negoziale, in specie in Medio Oriente, cammina sempre sul filo del rasoio (quanti accordi disattesi abbiamo visto?) ma ora la pace può essere davvero a un passo, perché rispetto al passato c'è un elemento di grande novità: quasi tutti gli attori della regione sono d'accordo. E il Qatar e la Turchia si stanno dando da fare per convincere Hamas. In ogni caso, ammesso che vada in porto, si tratterà ovviamente di un processo lungo, perché tanti e complicati sono i nodi aperti. Ma lo scenario proposto da Trump può aiutare a scioglierli, dato che immagina un'inedita collaborazione tra Occidente e Paesi arabi, sulla linea degli «accordi di Abramo». Insomma, un convincente contesto multilaterale proposto dal presunto «negatore del multilateralismo!». «Tutti devono saper cogliere l'occasione» ha detto la von der Leyen. Ed, effettivamente, sarebbe un delitto sprecare una tanto inattesa, quanto decisiva, opportunità storica. Sarebbe il caso, come detto, che tale occasione la cogliesse anche il movimento pacifista. Quale circostanza migliore per dimostrare che si sbagliava di grosso chi giudicava le sue posizioni come «contigue» ad Hamas? E, visto che ci siamo, vorremmo rivolgere, alla «Flotilla» e ai suoi sostenitori, un'altra domanda: per voi la vita di Igor vale meno di quella di Muhammad? In altri termini: come mai non abbiamo visto cortei, grandi come per Gaza, contro le centinaia di migliaia di vittime causate da Putin in Ucraina? O per denunciare le decine di migliaia di bambini uccisi o rapiti? Eppure anche lì non sono stati risparmiati ospedali e scuole. Non ci aspettiamo certo che una «Flotilla» di barche si diriga verso le coste della Crimea o verso Kaliningrad.

Ma certo la filosofia di un movimento «umanitario» deve sostenere, ovunque e comunque, l'integrità dell'essere umano. Essa non può certo fondarsi su una sorta di macabra doppia morale: «due bombe, due misure». Solo il pensiero totalitario, infatti, ha ragionato e ragiona così.

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