Guerra in Israele

Netanyahu tira dritto: "Potente operazione a Rafah"

Il premier israeliano ha ribadito la necessità per Tel Aviv di attaccare la città al confine con l'Egitto, ultima roccaforte di Hamas nella Striscia. Protesta degli Usa: "Abbiamo bisogno di risposte sui civili"

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Il piano israeliano di un’offensiva su Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove hanno trovato rifugio più di un milione di palestinesi da quando è iniziato il conflitto, continua a sollevare dubbi e proteste da parte della comunità internazionale. Il premier di Tel Aviv Benjamin Netanyahu, però, è rimasto fermo sulle sue posizioni.

"Noi combatteremo fino alla vittoria completa, e questa comprende una potente operazione anche a Rafah”, ha scritto in un post su X, aggiungendo anche che l’attacco inizierà “dopo che avremo permesso alla popolazione civile di lasciare le zone di combattimento”. Martedì 13 febbraio, il Wall Street Journal ha diffuso la notizia che lo Stato ebraico avrebbe presentato un piano per far uscire gli sfollati dalla città. Esso consisterebbe nella creazione di 15 siti da 25mila tende ciascuno, collocate lungo la costa dell’exclave e finanziati da Stati Uniti e partner arabi. A Washington, però, prevale ancora un certo scetticismo.

"Gli aiuti su cui fanno affidamento i civili palestinesi arrivano attraverso Rafah. Se le operazioni militari interrompono i valichi - Kerem shalom e Rafah - o interrompono i punti di distribuzione, ciò renderà più difficile lo spostamento degli aiuti”, ha affermato il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan durante un briefing con la stampa. “Abbiamo bisogno di risposte alla domanda su dove andranno le persone e anche come possono ottenere un livello duraturo di aiuti”. L’alto funzionario ha assicurato che la Casa Bianca sta avendo “intense conversazioni” con il governo di Tel Aviv per risolvere il problema e ha ribadito che “la nostra posizione sulla questione di Rafah è chiara e stiamo insistendo molto su questa questione fondamentale”.

Il premier Netanyahu ha annunciato che le Idf avrebbero attaccato la città al confine con l’Egitto il 7 febbraio, dopo aver rifiutato la proposta di tregua avanzata da Hamas. Immediatamente, il mondo arabo, associazioni internazionali e gli alleati occidentali dello Stato ebraico hanno protestato contro questa decisione, affermando che un assalto israeliano a Rafah causerebbe una “catastrofe umanitaria”. Il primo ministro di Tel Aviv ha però sottolineato che non attaccare l’ultima roccaforte di Hamas nella Striscia equivarrebbe a perdere la guerra e che la pressione militare aiuterà a portare avanti i negoziati per la liberazione degli ostaggi. Il 12 febbraio, Netanyahu ha dato un ultimatum ai terroristi: due settimane di tempo per raggiungere un accordo sul rilascio delle persone ancora prigionieri nella Striscia di Gaza.

Se Hamas avanzerà ancora condizioni inaccettabili, i carri armati con la stella di David entreranno a Rafah.

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