Ci incontriamo per visitare a Glilot il nuovo museo sul 7 di Ottobre organizzato dall'esercito e non ancora inaugurato, e per commentare la genesi e realizzazione della inenarrabile strage. Lo facciamo guardando negli occhi neri, spalancati, affermativi, Mossab Hassan Yousef, il Principe Verde, il Figlio di Hamas che parla al mondo di sé stesso e invita a combattere sulla base dell'orrore cannibalesco della sua prima esistenza. C'è coraggio e guerra senza fine in quello sguardo, nessuna illusione. Suo padre, lo sceicco Hassan Yussef, uno dei fondatori di Hamas, l'ha condannato a morte, e lui si sente impegnato in un duello storico.
Come un eroe mitologico, Mossab è tutto il bene e tutto il male, brucia in ogni parola, vive per la determinazione di non esitare di fronte a nulla, e mentre descrive la sua origine dentro Hamas che è un «death cult», un culto della morte, è come se avesse fatto un voto, con in mano una spada. Mossab si è fatto cristiano, ma le sue memorie non portano remissione, chiedono solo cambiamento, pentimento, è spietato la sua stessa storia, non ha pietà verso la sua infanzia piena di violenza a scuola, a casa, per strada, e di insegnamenti omicidi, prima di tutto uccidere gli ebrei, e poi chiunque non sia parte dell'Islam. Vede al museo il ruolo dell'Unrwa e dice: ognuno di quei bambini, è destinato a diventare una Nukba. «Avrei potuto tante volte vendicarmi di ciò che mi hanno fatto mentre avevo scelto di lavorare per gli israeliani per bloccare le stragi continue sugli autobus, nelle pizzerie. Ho salvato tanta gente, ma ho sempre rifiutato di implicare una vendetta personale. Mio padre è salvo per questo. Io cerco solo giustizia e che si capisca la terribile verità di con chi avete a che fare».
Mossab ha 47 anni, ma il viso magro di un ragazzo; vive molto lontano, dove Hamas e tutti i terroristi che lo cercano non lo possano trovare. Ma c'è sempre in questa guerra senza fine; così visita il museo insieme a Dan Diker che lo ha invitato in Israele per il Jerusalem Center for Foreign and Strategic Affairs. Là si impara tutta la verità su Hamas, è si capisce che solo una rivoluzione totale può far sperare in una pace coi palestinesi.
Guardiamo foglietti di istruzione per la strage, mappe dei kibbutz con gli asili nido e le case, anche una lunga lettera di ordini di Sinwar. Mossab sorride: «Devo dire che scrive molto bene, ottimo arabo». Le sue divisioni sono divise per luogo e per compito, tutto è segnato. I fogli scritti a penna, come i biglietti in possesso dei terroristi ordinano «in nome di Allah» di «uccidere con donne bambini e vecchi, fotografare, stuprare, fotografare gli stupri, rapire...». «Rapire a centinaia è decisivo, fondamentali - dice Mossab - l'arma geniale, vincente... E attenzione: l'invasione è chiamata Inondazione di Al Aqsa. Lo tsunami sovrasta cadendo dall'alto, gli occhi neri sono ancora più grandi e scuri», cancella allo scopo di sostituire.
È una scelta religiosa, prettamente islamica. «L'Islam arriva 1500 anni dopo l'ebraismo, 700 dopo il cristianesimo: lo scopo di Hamas è compiere a fondo la grande guerra di religione. Sostituire le altre due religioni. Lo dovrete capire tutti a vostre spese se non agite in fretta». Anche l'invenzione di Al Aqsa, spiega, è un'invenzione di guerra: Gerusalemme non esiste nel Corano, e la Moschea si inventa per arricchire una narrativa fasulla, per un popolo che non esiste. Siamo Arabi, dice Mossab, la bandiera palestinese esiste solo dagli anni Sessanta dello scorso secolo. Mossab ride all'accusa di islamofobia: «Basta guardare nei libri di testo, i bambini lo imparano dall'asilo, sulle tv: sottomettere l'infedele con la violenza».
E più avanti, oltre lo stand dove si allineano le armi lasciate sul campo (russe, degli Hezbollah nordcoreane, iraniane) i libri di Gaza: un kit religioso da portare con sé nella strage, col Corano, e i libri che si trovano sia a Gaza che nelle case del West Bank. Mossab li sfoglia, li ha visti a casa sua: c'è il Mein Kampf di Hitler, i libri di Abd Allah al Azzam teorico di Al Qaeda che ha anche scritto la carta di Hamas nel 1988, c'è Mahmoud al Zahar, tuttora nella leadership di Hamas che ha scritto «Odiare gli ebrei», c'è «La fine degli ebrei».
I libri di testo vanno oltre: «Io a scuola imparavo le sottrazioni togliendo gli ebrei morti da quelli vivi per sapere quanti ne erano rimasti». Vediamo i video coi bambini che odiano, che sparano, con le mamme che li candidano a divenire Shahid. Mossab sta impietrito carico di ricordi di fronte al video, annuisce, sa. Poi, solo chi è forte riesce a guardare. Mossab lo è, ma nell'ultima stanza, davanti allo schermo, deve uscire un momento, torna e quasi grida: «Ognuna di quelle membra strappate, di quegli stupri, ognuno di quei bambini stuprati e arsi vivi è un crimine di guerra! Nessuno lo denuncia. Qui ci sono 1200 crimini di guerra: io mi sono detto adesso, specie dopo ciò che si è visto il mondo si alzerà in piedi... e non è successo. Che cosa possiamo fare se non capite che di fronte a questa guerra neonazista di religione ci si deve difendere fino all'ultimo?».
I grandi occhi
spalancati di Mossab guardano una vita, una cultura intera: «Io dedico tutto me stesso a difendere Israele e il popolo ebraico dalla guerra psicopatica contro ebrei e cristiani. Se non mi si ascolterà, io continuerò da solo».