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Sommergibili in missione a Singapore: quando la Regia Marina portò la guerra silenziosa nei mari d’Oriente

Da Bordeaux a Singapore, il lungo viaggio della Flotta dei Monsoni, i sommergibili italiani scelti per le operazioni di trasporto segrete dei nazisti

Sommergibili in missione a Singapore: quando la Regia Marina portò la guerra silenziosa nei mari d’Oriente

Quando il 15 febbraio 1942 i soldati giapponesi conquistarono lo stato insulare di Singapore, terra d’oltremare dell’Impero Britannico che aveva stabilito una importante base navale militare in quella che considerava una “Gibilterra asiatica”, l’ordine di confiscare i beni dei vecchi colonialisti anglosassoni per adibirli a nuovo uso fu una delle prime preoccupazioni dell’Impero del Sole Nascente, merite di aver fatto cadere la città-fortezza in soli sei giorni.

Tra questi beni, era anche la magione di Westbourne, una sfarzosa villa coloniale dalle alte colonne bianche che gli attachés militari consegnarono agli alleati tedeschi, i quali non tardarono a stabilire una sede logistica della Kriegsmarine, la Marina militare del Reich che avrebbe immediatamente gettato le basi per gestire e condurre un intenso scambio di beni tra l’Asia e l’Europa. Questo accordo commerciale e strategico tra le potenze dell’Asse finì per coinvolgere anche la Regia Marina Italiana, alla quale venne affidato un compito “speciale”: quello di trasportare nella sicurezza garantita dalle profondità marine gli importanti carichi di prodotti chimici, gomma e metalli rari, stipandoli a bordo dei propri sommergibili: più grandi e capienti degli U-Boot tedeschi e meno adatti a combattere la feroce Battaglia dell’Atlantico. Questi battelli sottomarini, inquadrati in quella che venne battezzata come la Monsunflotte - come i venti monsoni che turbano l'Oceano Indiano - erano rispettivamente il Torelli, classe Marconi, il Comandante Cappellini e il Barbarigo, classe Marcello, il Giuliani e il Bagnolini, classe Liuzzi; tutti precedentemente assegnati alla base navale di Bordeaux, nome in codice BETASOM, o il Comando Gruppo Sommergibili Atlantico.

Al tempo la base atlantica della Francia, occupata dai tedeschi dal 1940, Bordeaux era il principale hub per il lancio e ricovero degli U-Boot, che si radunavano nei famigerati “branchi di lupi” per dare la caccia ai convogli e al naviglio degli Alleati, e ospitava una flotta di 27 battelli trasferiti nell'autunno del 1940 attraversando, più che temerariamente, lo stretto di Gibilterra ancora in mano agli inglesi, per lasciare il Mar Mediterraneo. La maggior parte fece ritorno nel Mediterraneo l’anno successivo o venne persa in missione.

Per via delle loro caratteristiche, tra cui già spiccavano “capienza e autonomia”, i sommergibili italiani vennero preferiti agli U-Boot per essere trasformati in unità da adibire al “trasporto segreto di materiale strategico fra le Potenze del Tripartito”. Le modifiche comportarono, tra le altre, l'eliminazione di cannoni e tubi lanciasiluri, rendendoli parzialmente indifesi ma perfetti per le lunghe traversate oceaniche che prevedevano non solo la parziale circumnavigazione del continente africano, ma la completa traversata dell’oceano Indiano fino al Mare di Giava o al Golfo del Bengala. Latitudini che avevano conosciuto solo attraverso i romanzi di Salgari.

L’idea era partita dall’ammiraglio Karl Dönitz, comandante in capo della Kriegsmarine, che incontrando l’ammiraglio Arturo Riccardi, comandante in capo della Regia Marina, trovò l’intesa per avviare il programma di modifica e l’avvio di queste operazioni di trasporto segrete. “Fra maggio e luglio 1943 i primi cinque sommergibili trasformati presero effettivamente il mare per la nuova missione di trasporto, ma due di essi furono affondati in Atlantico”, riportano le fonti, pertanto solo il Giuliani, il Cappellini e il Torelli presero il mare per fare rotta su Singapore, Penang e Surabaya in Indonesia, dove erano state installate le basi strategiche della Kriegsmarine in Estremo Oriente, dove avrebbero dovuto caricare tutto il materiale strategico da riportare alla base di Bordeaux, dopo una breve sosta. Ma venne l'8 settembre.

Nel libro "Tutti a bordo! I marinai d'Italia l'8 settembre 1943. Tra etica e ragion di Stato", gli ufficiali di quella che divenne la Marina Militare italiana, P. Rapalino e G. Schivardi, ripercorsero, oltre l'intera vicenda qui riportata, i giorni della "resa incondizionata" agli Angloamericani che sorprese i tre equipaggi a oltre 10.000 miglia dal comando di Supermarina che impartì ordini spesso contraddittori, oltre che "contraddetti", e talvolta inseguibili. Le possibilità erano due, entrambe difficili da praticare: “Navi e sommergibili tentino di raggiungere porti inglesi o neutrali oppure si autoaffondino”. All'alba dell'armistizio i sommergibili Cappellini, Giuliani e Torelli si trovavano ancora a Singapore, ognuno carico fino all'orlo di merci desiderate dai nazisti nel porto di Bordeaux.

Stando ai resoconti di questi giorni terribili, i comandanti e i loro equipaggi - che si sentivano persi e traditi dalle scelte del Re e dei comandi allo sbando lontani da casa - vennero presi prigionieri dai giapponesi. Dopo quelle che vengono riportate come “settimane di dura segregazione”, gran parte dei marinai italiani preferì continuare la guerra al fianco dei vecchi alleati, diventando di fatto parte della Marina da Guerra Repubblicana della RSI, affiancando i tedeschi che presero il comando dei tre sommergibili.

Il Cappellini e il Torelli, ribattezzati U. IT. 24 e U. IT. 25, vennero incorporati nella Kriegsmarine, per essere poi catturati dai giapponesi alla resa della Germania, ed essere rinominati I. 503 e I. 504, entrambi con un equipaggio misto italo-giapponese che continuò a combattere nel Pacifico. Dopo la resa del Giappone i superstiti italiani vennero imprigionati dagli statunitensi. Il Cappellini venne affondato al largo di Kōbe, il Torelli nel canale di Kii. Furono le uniche unità militari ad aver servito sotto tutte e tre le bandiere dell’Asse. Un destino differente spettò invece al Giuliani, primo sommergibile italiano a raggiungere l'Indonesia occupata dai giapponesi: fu catturato dai giapponesi, per essere assegnato alla Kriegsmarine con il nome U. IT. 23.

Armato con un equipaggio misto italo-tedesco venne silurato dal sommergibile britannico HMS Tally-Ho e affondò nello stretto di Malacca. Dei 53 uomini d'equipaggio solo 14 riuscirono a salvarsi, due di loro erano marinai italiani.

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