
Donald Trump ha dichiarato di intravedere un cessate il fuoco in Ucraina come possibile effetto collaterale dei bassi prezzi del petrolio, suggerendo che un calo delle entrate energetiche potrebbe indebolire la capacità della Russia di finanziare lo sforzo bellico. "Penso che avremo un cessate il fuoco perché i prezzi del petrolio sono bassi", ha affermato, secondo quanto riportato da Bloomberg.
Perché il petrolio al ribasso è un problema per Putin
Il prezzo del petrolio rappresenta una variabile determinante per la Russia, la cui economia dipende in modo strutturale dalle esportazioni di idrocarburi. Secondo i dati ufficiali, oltre un terzo del bilancio federale è finanziato direttamente dalle entrate petrolifere e del gas. Un calo prolungato del Brent o del WTI al di sotto della soglia critica — stimata tra i 70 e i 75 dollari al barile — può compromettere seriamente la sostenibilità del Cremlino.
In scenari di mercato ribassista, il governo russo si trova costretto a erodere il Fondo nazionale del benessere, cioè le riserve del Paese per i momenti difficili, a emettere debito in valuta locale (rubli) in condizioni meno favorevoli o a introdurre tagli alla spesa pubblica, incluse le risorse destinate al comparto militare. Tutto ciò avviene in un contesto di crescenti pressioni economiche derivanti dalle sanzioni occidentali, che riducono l’accesso ai mercati finanziari internazionali e limitano la capacità di diversificare le fonti di finanziamento.
Un ulteriore elemento critico è rappresentato dall’andamento del rublo, storicamente correlato alle quotazioni del petrolio, con ricadute inflazionistiche sui prezzi al consumo e sull'import di beni tecnologici. La combinazione di minor gettito, debolezza valutaria e instabilità dei prezzi interni mette a rischio non solo l’equilibrio macroeconomico, ma anche la coesione politica interna e, dunque, il consenso alla guerra.
Cosa dicono i mercati, la vulneravilità dell'Asia
Attualmente, il petrolio WTI con consegna ad agosto scambia sotto i 66 dollari al barile, mentre il Brent si mantiene stabile poco sotto i 68 dollari. Dopo il picco legato alle tensioni tra Israele e Iran, i prezzi sono rientrati su livelli più contenuti, suggerendo che i mercati non si attendano una crisi energetica imminente. Ciononostante, le oscillazioni rimangono fortemente sensibili agli sviluppi geopolitici.
Le tensioni in Medio Oriente hanno nuovamente acceso i riflettori sui rischi di choc energetici globali. Gli attacchi statunitensi contro siti nucleari iraniani avevano infatti innalzato l'allerta, con il timore che Teheran potesse chiudere lo Stretto di Hormuz, snodo critico per circa un quinto delle esportazioni mondiali di greggio. Un'escalation in quell'area potrebbe rapidamente riportare il prezzo del barile oltre quota 85 dollari, con impatti globali rilevanti.
L'Asia, in particolare, si trova in una posizione vulnerabile. Sebbene l'intensità energetica del continente si sia ridotta, la dipendenza strutturale dalle importazioni resta elevata. Il petrolio copre circa il 25% del fabbisogno energetico regionale, con l'80% della domanda soddisfatta attraverso importazioni. Tuttavia, finché il prezzo si manterrà intorno ai 70 dollari, l'impatto macroeconomico dovrebbe restare contenuto. Ciò non toglie che un aumento duraturo dei prezzi dell'energia rappresenti un rischio significativo per i bilanci pubblici dei paesi importatori, a causa della necessità di aumentare i sussidi o di fronteggiare pressioni inflazionistiche. E se l'inflazione core dovesse risalire, le banche centrali dell'Asia potrebbero dover rallentare o sospendere i cicli di allentamento monetario finora perseguiti.
Le valute emergenti, i dati da tener d'occhio nei prossimi giorni
A livello globale, l'impatto dei prezzi del petrolio si riflette anche sulle valute emergenti. I Paesi esportatori netti come Brasile e Colombia hanno beneficiato di una rivalutazione delle rispettive monete, mentre economie più vulnerabili come Filippine o India hanno visto un peggioramento dei propri conti con l'estero. Nei prossimi giorni, l'attenzione degli investitori si sposterà sui dati macroeconomici chiave: inflazione e occupazione negli Stati Uniti, indici PMI nell'eurozona e sondaggi Tankan in Giappone offriranno un quadro più nitido sulle traiettorie delle principali economie.
Trump, intanto, ha concesso una tregua sul fronte commerciale, un segnale distensivo che potrebbe rafforzare la fiducia dei mercati.
Ma se i prezzi del petrolio resteranno bassi, Trump potrebbe usarli come leva diplomatica per raffreddare anche altri focolai, a partire dall'Ucraina. A patto, però, che la calma sui mercati non sia solo l'effetto di una quiete temporanea prima di nuove tempeste.