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Il guinzaglio della Cgil al collo di Bersani

Il segretario Pd impreca contro le manifestazioni Cgil, ma poi sfila ai cortei con la Camusso. Anche per fare concorrenza a Vendola e Di Pietro

Il guinzaglio della Cgil 
al collo di Bersani

La camicia bianca, la giacca scura, il siga­ro toscano e il braccio che accompagna Su­sanna Camusso in testa al corteo. Bersani co­me se fosse un personaggio di Pellizza da Vol­pedo, come un figurante del Quarto Stato , stretto alla leader della Cgil e a fare concor­renza a Vendola, Epifani, Di Pietro e tutti i vol­ti di questo sciopero che piange la crisi e so­gna la spallata al governo Berlusconi.

Il segretario del Pd è uno che si adegua. Quan­do la Cgil ha annunciato lo sciopero raccontano che Bersani, e buona parte del partito, imprecasse con­tro questa mossa avventa­ta, non sapendo se dare retta alle parole di Napoli­tano sulla concordia nazionale o se accodar­si alla Camusso. Alla fine, non sapendo che scegliere, Bersani ha deciso di recitare due parti in commedia. In Parlamento fa il mode­rato, rinunciando a ostruzionismi o a emen­damenti radicali, in piazza invece si veste da barricadiero, con il look giusto, per fare con­correnza agli altri leader dell’opposizione, pensando dentro di sé: se Di Pietro e Vendola ci vanno, io che faccio, resto a casa?

Naturalmente no. E allora via a sfidare il caldo e la strada senza preoccuparsi di passare nel club degli irrespon­sabili. L’importante è non cade­re nella più completa schizofre­nia. Ma a queste parti double fa­ce il segretario è abituato. È il se­greto del suo Pd, che da tempo si presenta come la versione bocciofila del «ma anche» vel­troniano. Il senso è lo stesso, ma più concreto, con il vantaggio di non dover giustificare con i sofi­smi intellettuali contraddizioni e opportunismi.

Quando Bersani è in difficol­tà si rifugia nei luoghi comuni e nei modi di dire, così tra un pro­verbio e un’imitazione di Croz­za resta a galla fino alle prossi­me primarie. Non sarà mai un leader, ma gli anni del Pci emi­liano gli hanno insegnato che si può essere proletari in Lambor­ghini. L’importante è spacciare la fuoriserie per un trattore.

Questa politica da «conver­genze parallele» costringe però il Pd a giocare sempre di rimes­sa, senza una vera identità poli­tica, con l’ansia di dover rincor­rere a destra e sinistra le mosse di Di Pietro e Vendola, il primo spregiudicato nel giocare a tut­to campo, l’altro bravissimo nel riverniciare il passato. Bersani non capisce,ma si adegua.L’im­portante è farsi vedere. Dice: «È doveroso per il Pd essere in tutti i luoghi in cui si critica una ma­novra economica che oltre ad essere ingiusta non è credibi­le ». Ovunque. In piazza, in Par­lamento, nei bar, in tv, nel salot­to di casa.

Ogni volta con un vestito di­verso, adatto all’occasione. Se poi gli interlocutori si disorien­tano pazienza. Questo è il Pd. Un soggetto politico in cerca d’autore. Non è facile riuscire a dialogare e trovare un accordo con chi improvvisa ogni volta un ballo in maschera.

Il massimo Bersani lo raggiun­ge quando si mette a parlare co­me un mezzo leghista. Che fare sulla previdenza? «Fuori da que­sta manovra si può discutere di un riassetto del welfare ma non per fare cassa.

Si potrebbe fare una operazio­ne flessibile e volontaria in usci­ta tra i 62 e i 70 anni, alzando co­sì di fatto l’età pensionabile, purché le risorse vadano ai gio­vani ». Il guaio del Pd è che è di­sponibile a qualsiasi riforma, ma mai adesso, sempre doma­ni. Per qualche strano motivo il momento non è mai quello giu­sto.

Le riforme, la manovra, il senso di responsabilità posso­no aspettare.
Prima c’è da fare un altroscio­pero. Altrimenti la Camusso si offende.

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