Ha la fama di «fratello deviato di Whatsapp». Ma secondo Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all'università statale di Milano, quella di Telegram è una nomea in larga misura immeritata. In Italia, dove ha molti meno utenti rispetto ai concorrenti, il social network fondato nel 2013 da Pavel Durov «è circondato da un alone di cospirazione e complotto, ma senza fondamento. Gli stessi contenuti controversi o di incitamento all'odio girano anche sulle altre grandi piattaforme di messaggistica, da Whatsapp fino a Signal e Viber».
E allora come mai Telegram si è guadagnata questa cattiva reputazione?
«L'unica evidenza è che tradizionalmente è meno disposta a collaborare con Stati e forze dell'ordine quando ci sono richieste di rimozione di contenuti. Ma per il resto non sono d'accordo nel far passare l'idea che Telegram sia un ritrovo di delinquenti. Credo che abbia contribuito il fatto che sia nato in Russia, come tentativo dei fratelli Durov di sfuggire al controllo di Putin, e anche il fatto di cambiare continuamente sede (ora è a Dubai, ndr) e di essere difficili da contattare. Può avere influito anche la grande attenzione alla sicurezza: per esempio si possono creare chat segrete che non lasciano tracce sui server e che consentono l'autodistruzione dei messaggi».
Però è stata spesso scelta da chi era interessato a fare propaganda, dall'Isis fino ai suprematisti bianchi.
«Telegram consente di creare comunicazioni unidirezionali: sono i canali, strumento pensato per diffondere messaggi a un ampio pubblico in cui solo l'amministratore può pubblicare contenuti, mentre i membri non possono commentare. È una funzione utile, ma che risulta efficace, appunto, anche per chi voglia fare propaganda».
Dobbiamo quindi considerare fisiologica la presenza su Telegram di contenuti illeciti?
«Io credo che vada considerata fisiologica. Telegram e tutti gli altri nuovi canali di comunicazione sono strumenti pensati proprio per non discriminare i contenuti. Ne consegue che vi gira qualunque tipo di cosa, dalla più nobile alla più becera fino a quelle illegali. Oggi, per quanto riguarda i social network come Facebook e Twitter, sempre più equiparabili a editori e che nel loro settore rappresentano un monopolio, è in corso un dibattito sull'opportunità o meno delle norme in vigore ormai da vent'anni che svincolano le piattaforme da ogni responsabilità sui contenuti pubblicati dagli utenti».
Lo stesso tipo di dibattito sta coinvolgendo anche le app di messaggistica come Telegram?
«Per il momento no, perché Telegram così come Whatsapp sono
nati per il dialogo uno-a-uno, e solo in un secondo momento si sono allargate ai gruppi da centinaia di migliaia di persone. Vengono ancora viste come luogo di comunicazioni private e domestiche. E il privato è intoccabile».
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