Haber, da Cechov a Craxi

Da oggi Alessandro Haber sarà a Milano con «Platonov», il dramma di Anton Cechov in scena al Carcano sino a domenica 20. Può darsi però che ci torni nell'autunno del 2010 con uno spettacolo di un drammaturgo contemporaneo: se non ci saranno intoppi, sarà il protagonista di un testo che Vitaliano Trevisan, scrittore e sceneggiatore di alcuni tra i più interessanti film del nuovo cinema italiano, sta scrivendo su Craxi e che verrà messo in scena da Andrée Ruth Shammàh in apertura della stagione del Franco Parenti.
La notizia è perfettamente in linea con il personaggio. Su Haber infatti, nel piccolo mondo del teatro, girano molte leggende. La più diffusa racconta che questo attore nato in Israele sessantadue anni fa, ma italianissimo e dall'accento inconfondibilmente emiliano, abbia uno straordinario, quasi pantagruelico appetito: di cibo, certo, ma soprattutto di vita, di sentimenti forti, di esperienze rischiose. Eppure nei panni dell'abulico Platonov, l'antieroe a cui Cechov dedica il suo dramma d'esordio, Haber sostiene di «trovarsi meravigliosamente». Forse grazie al suo soverchiante talento recitativo, persino superiore a quello di altri pur bravi attori della sua generazione, e alla sua passione vorticosa per il teatro.
Già perché, se per il grande pubblico Alessandro Haber è l'interprete di alcuni celebri film di Pupi Avati e di Leonardo Pieraccioni, per chi frequenta i palcoscenici milanesi è invece l'Arlecchino antitradizionale, un po'clochard e un po'maneggione, che andò in scena al Nazionale nel 1996 sfidando a distanza Strehler. Ma anche il protagonista, tra l'altro, di «Orgia» di Pasolini con la regia di Mario Missiroli, di «Scacco pazzo» messo in scena da Nanny Loi e, più di recente, dello «Zio Vanja» diretto, come «Platonov», da Nanni Garella. «Non c'è paragone: il teatro mi interessa enormemente più del cinema» ribadisce l'attore. «Quando recito su di un palco, sento che quello che sto facendo è mio, appartiene a me ancor prima che al regista o all'autore della drammaturgia. Durante la preparazione e poi nel corso della tournée, sento lo spettacolo crescere con me e, ogni volta che lo metto in scena, mi sembra di rischiare come se fosse la prima volta».
Eccolo quindi interpretare un testo che, per la sua lunghezza e per lo stato quasi di abbozzo in cui l'ha lasciato Cechov, rappresenta una vera e propria sfida che hanno tentato in pochi. Tra gli altri Strehler, regista nel 1959 di un «Platonov» con Tino Carraro e Valentina Cortese che dalla critica, insieme con l'immancabile apprezzamento, ricevette un caloroso consiglio: «forbici!». «Garella l'ha sforbiciato molto» rassicura Haber. «Ne è emerso il ritratto di un Don Giovanni con il senso della morte, di una figura che giunge all'inedia per eccesso di acume, perché la sua sensibilità affilata gli fa intuire che il grigiore della realtà è senza rimedio. In fondo Platonov è un perfetto esempio di uomo post-ideologico: da qui la scelta di ambientare il testo nella Russia del dopo-perestrojka, cioè in un luogo e in un tempo caratterizzati da un senso di amaro disincanto».
Nella resa del personaggio, Haber si è ispirato a una persona che gli ricorda molto l'antieroe cechoviano. «Uno sceneggiatore che frequentavo quando avevo vent'anni. Era un mio coetaneo sprezzante e geniale, che maltrattava me e gli altri attori.

Aveva tutti i requisiti per sfondare: scriveva testi illuminanti, frequentava i salotti giusti... Ma nel profondo di sé, proprio come Platonov, aveva il timore di affrontare realmente la vita. Anche lui è naufragato nell'inedia»".

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