Haiti, sequestrata un’italiana Ma il terrorismo non c’entra

È una commerciante nata nell’isola, dov’è diffusa la piaga dei rapimenti

da Roma

Rapita un’italiana ad Haiti. Si tratta di Gigliola Martino, 67 anni, commerciante, nata nell’isola caraibica, sequestrata ieri mattina alle 7.45 ora locale a Port-au-Prince, la capitale. Un appello per lei ai sequestratori è stato lanciato anche da Mimmo Porpiglia, console onorario di Haiti in Italia e direttore del quotidiano per gli italiani nel mondo Gente d’Italia. «Gigliola - ha detto - è la sorella di mia suocera, il cui marito, Mario Caprio, è stato preside della facoltà di Medicina e, soprattutto, un medico che per 40 anni ha operato gratis tutti coloro che ne avevano bisogno. Un uomo legato all’isola e ai suoi abitanti. Per questo, per tutto il bene che lui ha fatto, noi familiari chiediamo ai suoi carcerieri di liberare Gigliola». L'unità di crisi del ministero della Farnesina sta seguendo costantemente l’evolversi del sequestro in collaborazione con l’ambasciata francese a Port-au-Prince e la missione dell’Onu. Immediatamente informati il console onorario italiano, Giovanni De Matteis, e l'ambasciatore italiano a Santo Domingo competente per la zona, Giorgio Sfara, si sono subito recati sul posto per verificare l’accaduto. «I rapimenti ad Haiti - ha detto Sfara - sono all’ordine del giorno. Siamo in contatto con la polizia locale. I Martino commerciano forniture elettriche, rispetto allo standard del luogo sono facoltosi. Sequestri-lampo a scopo estorsivo che spesso si risolvono in breve tempo».
Una situazione drammatica quella che sta vivendo il «paradiso» caraibico, uno dei Paesi più poveri al mondo, dal momento della destituzione dell’ex presidente Jean Bertrand Aristide, avvenuta nel febbraio 2004. Un traghettamento doloroso verso le elezioni democratiche fissate per il novembre di quest’anno che finora ha contato centinaia di morti in una feroce guerra fratricida tra le fazioni ancora legate all’ex premier, bande criminali comuni e difensori della legalità. E che ha visto l’intervento della Minustah, la forza multinazionale dei caschi blu dell’Onu nell’isola. «Abbiamo paura - raccontava pochi giorni fa Suor Anna, missionaria a Port-au-Prince, ai giornalisti di Peace-reporter - . Specialmente nella zona della cattedrale e nel nord della città, ma anche a Cité Militaire e Cité Soleil, le enclave più «calde», hai timore che qualcuno ti segua. Cambi percorso, stai attento a non farti notare. Rapiscono tutti: poveri e ricchi. Tempo fa presero un sacerdote.

Lo liberarono solo perché uno dei capibanda l’aveva riconosciuto come suo maestro d’infanzia. Cercano soldi, di cui oggi hanno più che mai bisogno per armare la guerriglia». Il 31 maggio a rimetterci la pelle durante gli scontri di piazza era stato il console onorario francese a Cap-Haïtien.

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