«Happy hour? Per me è happy days»

«A Milano, di notte, c'è il mare. È un mare di persone che, nascoste dall'oscurità, nuotano da un locale all'altro per pescare o per farsi pescare». Andrea G. Pinketts descrive così il popolo della notte milanese in uno dei suoi romanzi, «Il Vizio dell’Agnello».
Pinketts, lei segue la movida milanese?
«Io seguo la movida di me stesso. Sono sempre in giro, sballottato di locale in locale. E ho i miei Sancta sanctorum, che per me sono casa, ufficio e pensatoio».
Ci fa qualche nome?
«Innanzitutto l’aperitivo allo Smooth di Via Buonarroti 15. È un locale di tendenza, ma io lo scelgo soprattutto per l’interessante fauna femminile»
Quindi anche lei è stato contagiato dalla moda dell’Happy hour?
«A dire la verità io mi ritengo un precursore. Anche prima che fosse riconosciuto il popolo dell’happy hour io avevo già inaugurato i miei happy days, i giorni felici. Perché limitarsi a poche ore?»
Torniamo ai suoi Sancta Sanctorum...
«Le Trottoir di Piazza XXIV Maggio, lo frequento da così tanto tempo che ormai faccio parte dell’arredamento. Le mie serate poi si concludono al Sud di via Solferino 33, un locale afro-caraibico, dove ogni mercoledì sera presento un romanzo noir».
Quali sono i luoghi di Milano dove la ricerche per i suoi romanzi sono state più proficue?
«Sicuramente le storie di Brera sono state molto utili per creare i miei personaggi».
Come è cambiato il divertimento milanese negli anni?
«Gli anni Ottanta sono stati all’insegna dell’edonismo e del dandysmo, poi, dopo Tangentopoli e in nome dell’austerity Milano stava diventando una città d’ombre. Dagli anni Novanta, per fortuna, è tornata la voglia di divertirsi».


Non è una Milano «placcata oro», come ha scritto in un suo romanzo?
«Sarà anche placcata, ma l’importante è che luccichi. È tutto un bluff tanto che al bluff ho dedicato il mio ultimo romanzo («Ho fatto giardino» ndr). Ma far finta che tutto sia colorato e luminoso serve a far diventare le cose colorate, luminose».

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