
Ho sempre conosciuto Nvidia per i videogiochi, per quelle schede grafiche che ogni giocatore serio considerava un’arma indispensabile, una specie di estensione neurale della potenza visiva, con sigle indecifrabili come RTX, Ti, Super, Max-Q, e un’ossessione per il ray tracing che sembrava più importante della trama del gioco stesso. Nvidia era (e lo è ancora) sinonimo di performance grafica, l’azienda che permetteva di vedere il riflesso di una granata nel vetro di una macchina mentre esplodeva in tempo reale in Call of Duty, il marchio che separava chi giocava da chi aspettava che il gioco caricasse.
Finché non è arrivata l’intelligenza artificiale e il salto è stato totale. Voglio dire: le stesse GPU (le schede grafiche) nate per rendere più fluide le animazioni, più profonde le ombre e più dettagliati i capelli dei personaggi si sono rivelate perfette anche per addestrare modelli neurali. Anzi, non perfette: indispensabili. Oggi le GPU Nvidia sono lo standard globale per l’addestramento e l’esecuzione dei modelli di IA generativa. Senza di loro, ChatGPT, Gemini, Claude, Midjourney, xAI, perfino i modelli interni di Meta e Amazon, semplicemente non esisterebbero, non potrebbero funzionare. Se l’IA è un cervello, Nvidia è il suo sistema nervoso.
Così mentre tutti guardavano ad Apple, Microsoft e Google, Nvidia ha superato tutti e mercoledì ha raggiunto un traguardo che nessuna azienda aveva mai toccato prima: una capitalizzazione di mercato di 4.010 miliardi di dollari. Le azioni, in crescita del 2,8%, hanno toccato il massimo storico di 164,42 dollari, confermando una tendenza che dura da anni ma che negli ultimi mesi è diventata esponenziale. Basti dire che nel luglio del 2015, un’azione Nvidia valeva circa 0,5 dollari (al netto degli split): significa che in dieci anni ha fatto +35.000%, contro il +260% dell’S&P 500 nello stesso periodo. Un investimento di 1.000 dollari nel 2015 oggi ne varrebbe 350.000, una performance che fa impallidire ogni altra big tech.
Nel 2023 Nvidia ha superato la soglia dei 1.000 miliardi, in seguito i 2.000, dopo i 3.000, e infine i 4.000 in poco più di dodici mesi. Un’accelerazione che ha accompagnato, se non addirittura anticipato, la febbre globale per l’intelligenza artificiale. Il CEO e cofondatore Jensen Huang, partito da un primo lavoro come lavapiatti in un Denny’s, oggi è la nona persona più ricca del mondo con un patrimonio stimato di 142 miliardi di dollari e grazie a una partecipazione del 3,5% in un’azienda che ha saputo trasformare una nicchia hardware in un’infrastruttura essenziale per il futuro digitale.
Nvidia non è più una società di schede video: è diventata la piattaforma su cui si costruisce la nuova economia dell’IA, una trasformazione che in dieci anni l’ha portata da 10 miliardi di valutazione a 4.000 e che oggi la rende non solo la più grande azienda al mondo per capitalizzazione ma anche quella con il ruolo più centrale e meno sostituibile nell’ecosistema dell’innovazione.
C’è una storiella che gira da tempo: se dal primo
Iphone invece che cambiarne uno ogni anno avessimo investito 20000 euro in azioni Apple, oggi avremmo 140 milioni circa. Non l’ho fatto, e no, non ho mai pensato di comprare azioni Nvidia. Che invidia per chi l’ha fatto.