Cronaca locale

«Ho fatto 180mila funerali e ora penso un po’ al mio. Sulle ruote di una bicicletta»

«Ho fatto 180mila funerali e ora penso un po’ al mio. Sulle ruote di una bicicletta»

’A livella milanese si chiama Alcide Cerato: «Poveri e ricchi, cristiani e musulmani, comunisti e fascisti. Ho fatto il funerale a tutti». Almeno 180mila, in 45 anni: «Visto che ce ne dobbiamo andare - la sua massima - cerchiamo di farlo con dignità». E visto che «qualcuno questo mestiere deve pur farlo», lui ha fondato quello che è diventato il più grande gruppo di imprese funebri d’Italia. Ha importato il carro funebre-Rolls Royce, e in tempi di austerity ha inventato il funerale in pullman: 40 persone a bordo per risparmiare sulla benzina.
A proposito, cosa pensa di chi fa gesti scaramantici al passaggio del carro funebre?
«Che dovrebbe toccarsi la testa».
Lei come ha iniziato?
«Rilevando l’impresa di mio suocero, dopo una brutta caduta che ha stroncato la mia carriera di ciclista».
Ed è diventato il suo mestiere...
«Ho dedicato la vita a questo lavoro. Ho fatto scuola, cambiando lo stile dei funerali in Italia. Siamo un’eccellenza, nella città della moda, abbiamo anticipato l’Expo».
Come sono i milanesi di fronte all’«ultimo viaggio»?
«Siamo tutti uguali guardi. Ora ci sono tantissimi stranieri, ma noi siamo molto laici, la nostra sala del commiato è aperta ai sacerdoti di tutte le religioni. Però ora noto che c’è meno rispetto».
Meno sacralità intorno alla morte?
«La vita è più complicata. La gente ha sempre paura di morire ma ha meno tempo di pensare alla morte. La qualità dell’arte funeraria è caduta, nessuno chiede più sepolture monumentali. La cremazione è passata dal 3 al 40-45 per cento. Spesso poi i Comuni assecondano queste tendenze, trattando le sepolture come un problema di smaltimento. E ci sono sempre meno professionisti».
Si specula anche sulla morte...
«A Milano ci sono quaranta decessi al giorno. Le agenzie ormai sono troppe, più degli imprenditori veri e seri. Noi siamo i giganti, e alcuni cercano di screditarci, o si spacciano per noi».
Cosa significa far bene questo lavoro?
«Per i familiari la perdita è sempre un trauma. La cosa più importante è la dignità. Essere presenti senza farsi notare dai dolenti. Metterli a loro agio. Noi siamo loro servi. Mettiamo a disposizione anche uno psicologo».
La sua gratificazione?
«La maggiore soddisfazione è quando ti dicono: “Grazie, avete fatto bene, avete capito...“. Io non ho mai pensato ad accumulare soldi, poi, ho sempre reinvestito».
L’ultimo investimento?
«La nostra casa funeraria di Baggio. Era il mio sogno. Una sala del commiato per le funzioni, una hall per i dolenti, il bar. Ma la tanatoprassi è bloccata in Parlamento».
Che cos’è?
«Un trattamento estetico del defunto».
La richiesta più strana che ha ricevuto?
«Una cerimonia hippy forse. Con fiori colorati disegnati sulla bara. Una cosa un po’ alla Schifano. Ma queste cose accadono sempre meno».
C’è più sobrietà?
«Il barocco è superato, da più di dieci anni».
Quanti funerali ha curato nella sua vita?
«Circa quattromila l’anno per 45 anni, fate il conto. Tutti diversi e tutti uguali: ne ho visti migliaia, e neanche uno andarsene contento».
Qualche nome illustre?
«Diciamo che l’80 per cento li abbiamo curati noi. Comprese purtroppo le stragi e i disastri».
È assuefatto all’idea della morte?
«No, io vivo ancora a contatto con le persone, e sono sempre a loro disposizione».
Un addio che l’ha colpita in modo particolare?
«Mi ha scosso molto quello di Walter Tobagi, conservo ancora una lettera della moglie. Toccante. Mi auguro che anni come quelli non tornino più».
Il funerale più triste?
«Non l’ho fatto io, ho solo assistito. Quello di Craxi. Conoscevo bene lui e suo padre. Lo hanno messo in un Renault Traffic, una delle più grandi amarezze della mia vita».
Un amico che se n’è andato?
«Marco Pantani. Sono un dirigente della Federazione ciclistica. Eravamo amici. Marco era un ragazzo fragile. Poco prima di morire mi ha cercato, ma io non ero in Italia. Se fossi stato qui forse sarebbe andato tutto diversamente»
E al suo funerale ci pensa?
«Ci penso sì, credo che mi farò fare una bara con le ruote da bicicletta. E mi immagino già i necrologi».
Cosa vorrebbe che ci fosse scritto?
«Alcide Cerato: una brav’uomo».
Lo è stato?
«Ho sempre tentato di aiutare gli altri, cercando di seguire il precetto evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso“, con una piccola deroga per i miei concorrenti».
Crede nell’aldilà?
«Sì, ho fede.

Anche se vado poco a messa, in compenso però vado molto ai funerali».

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