«Hugo Boss? Vestiva i nazisti sfruttando il lavoro dei prigionieri»

Hugo Boss era lo stilista preferito da Adolf Hitler, tanto che vinse l’appalto per fornire uniformi a tutti i militari nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Questo era risaputo, ma finora la casa di moda aveva sempre sostenuto che i rapporti politici del suo fondatore col Führer fossero dettati dalla volontà di salvare l’azienda. Un nuovo libro intitolato Hugo Boss 1924-1945 scritto dallo storico dell’economia dell’Università di Monaco Roman Koester e commissionato dalla stessa casa di moda, rivela però che invece l’ex patron del marchio non solo fu un convinto nazista ma arrivò a sfruttare come manodopera ben 180 prigionieri di guerra (140 polacchi e 40 francesi), presso lo storico stabilimento di Metzingen nel Baden-Wurttemberg per confezionare le uniformi della Wehrmacht.
Così, oltre 60 anni dopo, l’azienda è stata costretta al mea culpa, pubblicando sul suo sito web una nota in cui esprime il suo «profondo rammarico nei confronti di quelle persone che hanno sofferto un forte disagio o vissuto pericoli mentre lavoravano nell’azienda sotto il regime nazional-socialista».

I prigionieri, come riferisce il sito tedesco in lingua inglese The Local, vivevano in un campo di concentramento vicino all’officina, in condizioni precarie, con poco cibo e ritmi di lavoro massacranti. Dopo la fine della guerra Boss fu processato e multato, morì nel 1948 e da allora la griffe cominciò la produzione di vestiti per uomo, diventando uno dei marchi più famosi al mondo.

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