La Huppert nel dramma di Sarah Kane

L’attrice interpreta «4.48 Psychosis» dell’autrice inglese che morì suicida a 28 anni. Spettacolo in francese con sovratitoli

Viviana Persiani

Scritto da una paladina di una scrittura estrema e visionaria, autrice di un teatro degli eccessi scenici e verbali, 4.48 Psychosis porta in scena i misteri di un animo in continuo equilibrio tra follia e realtà, tra coscienza e incoscienza.
Un’insuperabile Isabelle Huppert, una delle icone del cinema francese, diretta da Claude Regy, da venerdì sulla scena del Teatro Strehler, dando vita al testo di Sarah Kane, plasmerà la materia teatrale della controversa drammaturga anglosassone incarnando i drammi umani vissuti dalla scrittrice in questo testo tanto bello quanto agghiacciante, che è anche un testamento. Non a caso fu l’ultimo lavoro della Kane che, anticipandolo, preparò il pubblico al suo suicidio avvenuto, a soli ventotto anni di età, nel febbraio del 1999. «4.48 Psychosis», pubblicato postumo, venne tradotto, riscritto e rivisitato, approdando, con successo, sui palcoscenici italiani del teatro di ricerca. La versione firmata dal regista francese, dopo aver felicemente debuttato nell’autunno del 2002 nella stagione teatrale parigina e dopo aver viaggiato anche nel mondo del teatro americano toccando Los Angeles, New York, ma senza dimenticare Montreal, Berlino e il Lussemburgo, sbarca in Italia nell’ambito del Festival del Teatro d’Europa ponendo sotto i riflettori la bravura della Huppert. Sola sulla scena, protagonista assoluta, ritratta dall’abile macchina fotografica di Pascal Victor, l’attrice parigina dà vita con il corpo ai drammatici disagi, ai «deliri onirici» della fragile scrittrice.
«4.48 Psychosis parla di quello che succede a una persona quando scompaiono completamente le barriere che dividono la realtà dalle diverse forme d’immaginazione». Partendo da queste parole della stessa Kane, con le quali definiva le sue intenzioni, ma anche dalle righe inquietanti del testo e dalle sue notazioni, il regista Claude Régy ha allestito una pièce lineare, di estremo nitore: «In questo lavoro - commenta Régy - il mio obiettivo è stato riuscire a mettere in luce quelle zone dell’essere umano che la nostra società, obnubilata dal “risultato” e dalla “riuscita”, non riesce a vedere». Régy, che attraverso la sua messinscena è riuscito a dare uno spirito all'angoscia, avvalendosi della traduzione di Evelyne Pieiller, parla al pubblico di depressione, dalla disperazione di una giovane che, come unica via di fuga dal suo dolore, intravede solo la morte; la visione di un lamento, di un malessere persistente, capace di condurre una sensibilità ad un gesto estremo, prende vita così sulla scena attraverso la bella Huppert, immobile e inflessibile, capace di trasporre magistralmente i segni verbali in tracce fisiche di disagio. «L’attore - dichiara l’artista francese - è sempre in bilico tra il controllo e l’istante, che ne incarna l’opposto. Vive sempre sulla linea di demarcazione tra conscio e inconscio. Se si trovasse nella condizione di completo abbandono, non sarebbe più attore, ma delirante. La difficoltà evidente in questa pièce è che questa frontiera si abolisce un po’ di più. Si è vicini al delirio, senza mai abbracciarlo». Essenziale nel suo look, metafora dello stato d’animo annebbiato e cupo della protagonista, la Huppert, immersa nella vacuità di uno spazio riempito di pannelli di tulle trasparente-opaco, ha come unico interlocutore Gérard Watkins, nei panni dello psichiatra, una presenza latitante alla quale l’attrice racconta delle sue emozioni e le sue sofferenze.

Una curiosità: il titolo fa riferimento a quell’ora della notte nella quale, secondo le statistiche, chi ha preso la decisione di suicidarsi prova a metterla in atto. Lo spettacolo, che sarà recitato in francese con sovratitoli - proiettati su uno schermo - in italiano, resterà in scena solo fino a domenica 11 dicembre.

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